CAPITAN BARBABLÙ
Di Dario Mhillaj
In una storia di genesi e intrighi di un rapporto d’amicizia carico di virilità, Victor McLaglen, alla sua prima e unica collaborazione con Howard Hawks, è un marinaio di nome Spike. Salami, interpretato da Robert Armstrong, è un collega che, approdando prima in ogni porto frequentato da entrambi i marinai, lo anticipa andando a letto con ogni conquista di Spike, “marchiandole” con un tatuaggio del suo inconfondibile segno, un’ancora.


Ciò attira sullo stesso Salami l’odio del collega Spike, ma dopo una repentina colluttazione in un bar i due stringono rapidamente amicizia, fino a quando non si frappone nel neonato rapporto Marie (una Louise Brooks prima del grande successo europeo, che arriverà l’anno successivo con Il vaso di Pandora [Die Büchse der Pandora, Georg Wilhelm Pabst, 1929]). Secondo successo firmato Hawks dopo Passione di principe (Paid to Love, 1927), nonché sesto film del regista statunitense e terzultimo dei suoi muti, Capitan Barbablù (A Girl in Every Port, 1928) è anche il primo lavoro che introduce determinate tematiche, poi riprese più volte nel suo cinema in film come Il fiume rosso (Red River, 1948) Il grande cielo (The Big Sky, 1952) o Un dollaro d’onore (Rio Bravo, 1959); tra queste, i rapporti d’amicizia non convenzionali, la velocità d’azione, il cameratismo e la lotta tra sessi. I personaggi di Hawks non comunicano i loro sentimenti se non attraverso le azioni: Spike, burbero ed impulsivo, è sempre pronto a salvare l’amico Salami dagli impicci in cui si caccia ripetutamente, finendo poi per accendergli una sigaretta o mettergli il dito a posto dopo una scazzottata, cosa che verrà ripresa ne Il grande cielo da Kirk Douglas e Dewey Martin.

Leonard Maltin definisce questo film il primo buddy movie del regista. Il film si dispiega su più generi: dal buddy all’azione nelle scene di rissa nei bar, passando per l’avventura e riuscendo a mantenere l’equilibrio sulla sottile linea tra commedia e dramma, con incursioni di slapstick e sequenze commoventi, come la scena in cui i marinai si impietosiscono del bambino orfano di padre anch’egli marinaio.

Nella sua opera, con un utilizzo di luci ed ombre velatamente derivative dell’espressionismo, Hawks sfrutta spazi scenografici angusti a suo vantaggio, con svariate scene volutamente lunghe, fatta eccezione per le scene d’azione, che invece mantengono un elevato ritmo di montaggio, tutte accompagnate da una regia asciutta. Il film, di produzione Fox Film Corporation e co-sceneggiato da Hawks, James Kevin McGuinness e Seton I. Miller (con il quale la collaborazione verrà estesa più volte anche nel sonoro), fa della narrazione il suo punto forte, con personaggi macchiettistici non soliti nei film dell’autore americano, ma che svolgono la funzione di frammenti in un mosaico che va ammirato nella sua interezza.

Pochissimi i campi lunghi, le inquadrature sono sempre in prossimità dei protagonisti della storia, offrendo un certo grado di intimità e ponendo ancor più l’attenzione sulle vicende da loro esperite.
Quest’opera embrionale è il punto di partenza di un regista che si rivela solo negli anni Sessanta, dopo una rivalutazione dei Cahiers du cinéma; Hawks è non solo un regista che naviga tra vari generi, ma uno dei più grandi autori e cineasti della storia.
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