COMPANION
Se l’IA avesse una crisi esistenziale
Di Miriam Padovan
La storia del cinema è lastricata di idee geniali che si sono tradotte in capolavori e di idee riciclate che, con un po’ di fortuna e tanto mestiere, sono riuscite comunque a divertire il pubblico. Companion, il debutto alla regia di Drew Hancock, si piazza saldamente nella seconda categoria, riuscendo nell’impresa di essere contemporaneamente un film di fantascienza, un horror, una commedia e uno slasher. E come se non bastasse, vuole pure farci riflettere sulle storture della società moderna, sulla tecnologia e sull’emancipazione femminile. Un ambizioso minestrone cinematografico che, ahimè, finisce per essere una pietanza non troppo saporita.

Il film parte con una coppietta che si ritira in una villa isolata sul lago insieme a un gruppetto di amici: la coppia gay, l’amica tosta e un eccentrico russo che possiede la casa. Fin qui, tutto sembra seguire il manuale del film horror. Poi, arriva il colpo di scena (quello già telefonato dalla locandina): Iris, la protagonista, non è umana. Da qui parte la sua ribellione contro il sistema e, soprattutto, contro Josh, il fidanzatino maschio tossico che la tratta più o meno come una trad wife qualunque.
A questo punto, il film diventa una sorta di mix tra Ex Machina (Alex Garland, 2015), M3GAN (Gerard Johnstone, 2022) e un episodio particolarmente disturbante di Black Mirror (Charlie Brooker, 2011-). Il problema? La sceneggiatura tenta di gestire troppe cose contemporaneamente e, nel farlo, rischia di impantanarsi in un guazzabuglio di idee già viste, senza la sottigliezza necessaria per renderle davvero interessanti.
Drew Hancock vuole dire tante cose e il risultato finale è un pastiche in cui si fatica a capire quale sia il tono dominante. Si passa dal thriller alla commedia nera, dall’horror allo sci-fi con un’elegante disinvoltura.
Alcuni momenti sfiorano il grottesco – in senso positivo – riuscendo persino a strappare qualche risata. Ma poi si ritorna a toni seriosi, con momenti di riflessione profonda sulla condizione femminile, il patriarcato e i rischi dell’intelligenza artificiale, senza mai approfondire davvero nessuno di questi temi.

A livello visivo, il film è ben girato: Hancock dimostra di saper usare la macchina da presa con competenza, con scelte di montaggio ben calibrate, una fotografia curata e una colonna sonora che crea la giusta atmosfera. Il problema è che tutto questo impegno tecnico viene messo al servizio di una storia che non sa bene dove andare a parare.
Se c’è un pilastro fondante in Companion è la prova attoriale di Sophie Thatcher, che porta sullo schermo una Iris tanto vulnerabile quanto inquietante. La sua interpretazione è intensa e sfaccettata, riuscendo a dare un’umanità sorprendente a un personaggio che, per definizione, umano non è. Jack Quaid, nei panni di Josh, è perfetto nel ruolo del fidanzato stronzo e condiscendente: il classico tipo che acquista un’IA solo per non dover discutere sulle preferenze per la cena.
Companion è un film che intrattiene senza però lasciare il segno. Alla fine, non si capisce bene se voglia criticare la dipendenza tecnologica, il patriarcato o semplicemente raccontare una storia di vendetta in salsa sci-fi. Ed è un peccato, perché le premesse c’erano tutte per creare qualcosa di più incisivo. Intrattiene, ha dei momenti divertenti e qualche spunto interessante, ma non riesce mai davvero a brillare. Per quanto gli elementi siano buoni presi singolarmente, il risultato finale è un gusto confuso e poco definito. Se vi accontentate di una storia divertente e ben confezionata, ma che non dice nulla di nuovo, allora potreste trovarlo un buon passatempo.



Lascia un commento