N2 2025

NUOVE USCITE

NO OTHER LAND

Di Giovanni “Fusco” Pinotti

Nel quattordicesimo capitolo del suo capolavoro Furore (The Grapes of Wrath, 1939; qui nella traduzione di Sergio Claudio Perroni per Bompiani, 2017), John Steinbeck scrive così:

Un trattore può essere cattivo? La forza che scava i lunghi solchi può avere torto? Se questo trattore fosse nostro sarebbe buono – non mio, nostro. Se il nostro trattore scavasse i suoi lunghi solchi nella nostra terra, sarebbe buono. Non la mia terra, la nostra. Allora potremmo amare questo trattore quanto abbiamo amato quella terra quando era nostra. Ma questo trattore fa due cose: scava la terra e scaccia noi dalla terra. Non c’è molta differenza tra questo trattore e un carrarmato. […] Ho perso la mia terra, un singolo trattore ha preso la mia terra. Sono solo e sono smarrito. E nella notte una famiglia si accampa in un fosso e un’altra famiglia arriva e tira fuori le tende. I due uomini si accoccolano sui talloni e le donne e i bambini ascoltano.
Ecco il nodo, per voi che odiate il cambiamento e temete la rivoluzione. Vi conviene tenere separati questi due uomini accoccolati, fare in modo che si odino, che si temano, che diffidino l’uno dell’altro. È questo l’embrione della cosa che temete. È questo lo zigote. Perché adesso ‘Ho perso la mia terra’ è cambiato; una cellula si è scissa e dalla sua scissione nasce la cosa che odiate: ‘Abbiamo perso la nostra terra’.

Mentre, alla fine degli anni Trenta, l’ispirazione di Steinbeck aveva le sue fondamentali premesse nel periodo della Grande Depressione negli Stati Uniti, in No Other Land, documentario realizzato nel corso di quattro anni (2019-2023) da un collettivo di quattro attivisti israeliani e palestinesi (Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor), è lo sfollamento forzato dei villaggi di Masafer Yatta, nei territori occupati della Cisgiordania, a muovere l’azione.
Seguiamo le drammatiche e autentiche vicende di Basel Adra, attivista palestinese (proprio come il padre) da sempre spettatore dell’occupazione e costantemente accompagnato dalla sua videocamera, e di Yuval Abraham, giornalista d’inchiesta israeliano con il quale il nostro Basel stringerà un rapporto d’amicizia tanto forte quanto (all’apparenza) contraddittorio, rinsaldato dalla volontà comune di documentare, il primo agli occhi del mondo e il secondo a quelli della società civile israeliana, tutta la tragica realtà dell’espulsione forzata dei palestinesi dalla propria terra, della traumatica demolizione di case (ma anche scuole) tramandate di generazione in generazione per l’istituzione di zone militarizzate, della spietata e ideologicamente motivata violenza da parte dell’IDF e dei coloni.

Il tema principale di No Other Land è proprio quello della terra, del suolo natio di un popolo ormai da decenni soggetto a una delle più brutali occupazioni del mondo après-guerre; il film riesce a farci comprendere appieno l’attaccamento dei palestinesi alla propria terra, fino quasi, per quanto possibile, a farci immedesimare con loro. D’altronde, cosa faremmo noi, occidentali bianchi e privilegiati, se un giorno arrivasse uno squadrone di coloni, militari e bulldozer a dire che dobbiamo andarcene immediatamente? Che secondo la legge di un paese occupante, ostile e straniero, quella terra non appartiene più a noi? Che dobbiamo assistere inermi e impotenti alla distruzione del nostro focolare, di un posto che da tempo immemore abbiamo chiamato casa? Come reagiremmo se venissimo costretti a vivere in una caverna, privati di sanità, allegria, futuro, dignità e diritti?

Non riesco a immaginare, perlomeno da parte mia, una reazione pacifica a tutte queste ingiustizie, alla feroce
pulizia etnica attuata da una nazione che ha la sfrontatezza di definirsi come “l’unica democrazia del Medio Oriente”.
Ciononostante, sta proprio in questo la straordinaria forza del popolo palestinese: nel corso di tutto il docufilm, assistiamo a diverse e più che comprensibili reazioni di rabbia e disperazione, ma ciò che risalta ancora di più, soprattutto di fronte alla barbarica e violenta prepotenza del colonialismo, è l’incredibile, testardo ed eroico spirito di adattamento di queste persone, la loro encomiabile resilienza di fronte a una situazione apparentemente senza speranza; più volte, infatti, assistiamo meravigliati alla forza di volontà dei nativi umiliati e sfrattati, disposti non solo a resistere contro il furto coloniale di Masafer Yatta, ma anche a proseguire le proprie vite con dignità e coraggio. Non è raro assistere a scene piene di sorrisi, battute, convivialità, ospitalità, tenerezza, altruismo e solidarietà, anche nei confronti di Yuval, inizialmente guardato con sospetto, paura e rabbia per via della sua provenienza, ma poi rapidamente accolto, dapprima come alleato incerto nella lotta, ma poi anche come amico e fratello. Le vittime avrebbero tutti i motivi del mondo per odiare quest’uomo, appartenente alla nazione che è loro carnefice e che vorrebbe che si odiassero a vicenda; eppure, l’ennesimo atto di resistenza consiste anche in questo consapevole e squisitamente umano rifiuto dell’odio indiscriminato.


Elemento chiave della resistenza pacifica e non-violenta è poi la telecamera di Basel, il quale, benché laureato e istruito, non ha possibilità di lasciare i territori occupati, a differenza di Yuval: l’attivismo del nostro protagonista palestinese, quindi, non si materializza solo nella partecipazione a manifestazioni pacifiche, ma anche e soprattutto nella documentazione giornaliera dell’ingiusta quotidianità dell’occupazione coloniale; più volte vediamo Basel pubblicare i propri video su piattaforme quali TikTok, nella speranza che l’esperienza visiva vada a incidere più in profondità rispetto a parole o testi scritti e che tutte le persone al di fuori della Cisgiordania, nel nucleo privilegiato, occidentale e imperialista del pianeta, possano assistere a queste scene di quotidiana violenza ed essere incitate all’azione solidale.
Il fatto che i video di Basel raggiungano una discreta popolarità e lo conducano, per esempio, ad essere intervistato da emittenti occidentali è l’ennesima dimostrazione dello straordinario potere dell’immagine filmata, del suo montaggio, della selezione quindi degli elementi da mostrare per incutere certi sentimenti o provocare una determinata reazione. Un conto è leggere delle drammatiche realtà dell’occupazione e dell’apartheid, ben altro è vederne concretamente gli effetti sulla popolazione vittima: gli “uomini che guidano auto con la targa gialla” (così vengono definiti da Basel gli israeliani, per via del riconoscimento automobilistico istituito dal regime) controllano e dominano pressoché qualsiasi aspetto della vita degli
“uomini che guidano auto con la targa verde” (i palestinesi), ne regolano presente e futuro, ne cancellano il passato, ne scandiscono l’esistenza con la più sfacciata, burocratica e reificante perfidia coloniale.
Nonostante le talvolta agghiaccianti immagini presentate e il forte e concreto messaggio di denuncia, No Other Land, che ricordo esser stato realizzato da un collettivo di registi e attivisti israeliani e palestinesi, manda un messaggio chiaro: la coesistenza del popolo palestinese e di quello israeliano è possibile, la lotta può manifestarsi anche attraverso la non-violenza e la documentazione degli orrori, la convivenza può essere equa, giusta e umana senza l’istituzione di un violento, militarizzato, brutale e antidemocratico regime di colonialismo d’occupazione e apartheid.

Il film estende la sua narrazione fino ai primi effetti della rappresaglia genocida condotta da Israele in seguito alle sanguinose incursioni armate del 7 ottobre 2023; in questo senso, dunque, il documentario non finisce: non può finire, non può dotarsi di una conclusione vera e propria fino a quando gli ultimi strascichi e rimasugli del colonialismo, del razzismo, della pulizia etnica, dell’apartheid e del genocidio non verranno relegati nel bidone dell’immondizia della storia, il posto che spetta loro.
Anche per questo motivo, No Other Land è uno dei documenti filmici più importanti e fondamentali degli ultimi vent’anni, un forte risveglio delle coscienze e delle sensibilità; proprio come il libro di Steinbeck, il documentario non solo rivela la drammaticità della perdita di casa e dignità (da una parte dovuta agli efferati e noncuranti effetti del capitalismo predatorio, dall’altra all’occupazione coloniale), ma incita alla lotta contro le ingiustizie e alla fratellanza solidale in nome di un ideale completo, comune e universale, quello dell’umanità.

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Comments

4 risposte a “N2 2025”

  1. Avatar milù
    milù

    bravissimə, ottimo lavoro, super interessante e completo!

  2. Avatar tami
    tami

    articolo bellissimo 🙂

  3. Avatar Camelia
    Camelia

    Love it🤍🤍
    Complimenti

  4. Avatar Edgardo Pistone
    Edgardo Pistone

    Grazie mille delle parole così ben scritte e puntuali.

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