WE LIVE IN TIME –
TUTTO IL TEMPO CHE ABBIAMO
Di Sara Pellacani

Un viaggio nel passato, nel presente e nel futuro di una coppia. Questo è We Live in Time, il nuovo film di John Crowley (regista di Brooklyn, 2015) uscito nelle sale lo scorso 6 febbraio. Il film esce proprio nel periodo di San Valentino e, partendo già da questa premessa, la pellicola rispetta praticamente tutti i canoni del classico film romantico/drammatico, senza però cadere nello scontato.
I protagonisti sono la chef Almut (Florence Pugh) e Tobias (Andrew Garfield), un rappresentante di una marca di cereali. I due si conoscono quando Almut investe con la sua auto Tobias, momento che però viene mostrato allo spettatore praticamente a metà film, in quanto la narrazione non è lineare e la pellicola è costruita su diversi piani temporali per tutta la sua durata, grazie ad un montaggio intersequenziale. Nonostante ciò, la pellicola scorre comunque bene sul piano logico.
Per essere precisi, il film inizia in medias res quando la coppia, già consolidata da diversi anni, riceve la notizia che ad Almut è stato diagnosticato un cancro alle ovaie al terzo stadio. Nel film quindi non ci sono sorprese, ma lo spettatore è invitato a seguire la loro storia, che si sviluppa nell‘arco di dieci anni e attraverso la quale viviamo gioie, dolori e sorprese insieme ai protagonisti.
Proprio loro sono il fulcro del film, Florence Pugh e Andrew Garfield, giovani attori amati dal pubblico che regalano una buona performance, mostrando tutta una gamma di emozioni e dimostrando anche una grande chimica tra loro. Ciò dona grande credibilità alla storia e cattura lo spettatore nel racconto. Nonostante le ottime performance, il punto centrale del film rimane il tempo, quel tempo che i due protagonisti cercano di sfruttare al massimo e che si costruisce di piccoli e grandi momenti condivisi, che sottolineano l’importanza di viversi il presente. Vediamo infatti come le decisioni dei due siano dettate dal loro desiderio di vivere a pieno le loro vite e di non sprecare il tempo che hanno, specialmente dopo la diagnosi di Almut.

Nonostante l’elemento del “disordine” temporale sia innovativo in questo genere, è proprio questa continua sovrapposizione tra passato, presente e futuro che finisce col togliere pathos alle dinamiche del film, in quanto lo spettatore diventa onnisciente e già dai primi momenti della pellicola conosce lo sviluppo degli avvenimenti prima ancora di poter empatizzare ed affezionarsi ai personaggi.
La sceneggiatura di Nick Payne è semplice e non particolarmente innovativa, seppur riesca comunque ad essere efficace. I personaggi sono ben caratterizzati anche se un po’ stereotipati, soprattutto quello di Florence Pugh, che viene mostrata come la tipica ragazza diversa da tutte le altre, ex bimba prodigio, piena di risorse, risoluta e che non ha bisogno di un uomo per sentirsi completa. Persino la dinamica della coppia mostra come anche il personaggio di Tobias sia un po’ rappresentativo del cosiddetto “uomo beta” appena uscito da un divorzio, preoccupato per il futuro e per l’età che avanza.
Ben eseguite sono ad esempio le scene dalla lacrima facile, come quella in cui Almut si rasa i capelli in compagnia del marito e della figlia prima della sessione di chemioterapia, un momento triste che viene però reso positivo e giocoso per la figlia.
La fotografia, inoltre, è pulita e ben eseguita, cambiando di intensità e di colorazione nei vari momenti della vita dei due protagonisti.
Il film comunque risulta apprezzabile e commovente per un pubblico di massa, che esce dalla sala soddisfatto da un prodotto gradevole e ben realizzato.

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