OH, CANADA – I TRADIMENTI
Luci ed ombre della vita di un uomo
Di Sara Pellacani

Le luci, le ombre, le verità e le bugie della vita del documentarista Leonard Fife sono messe a nudo in Oh, Canada, l’ultimo film di Paul Schrader, celebre sceneggiatore e regista di pellicole come Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976) e American Gigolò (American Gigolo, 1980). Il film, presentato al Festival di Cannes del 2024, è adattato dall’omonimo romanzo di Russell Banks e segue l’ultima intervista che Fife, malato e ormai in punto di morte, rilascia ai suoi ex studenti Malcolm (Michael Imperioli) e Diana (Victoria Hill), ora marito e moglie. Nell’intervista, Fife ripercorre la sua vita da quando, per evitare di essere arruolato come soldato nella guerra in Vietnam, scappa dagli Stati Uniti al Canada. Il protagonista, interpretato da Richard Gere, rivive gli alti e bassi della sua vita, dove il confine tra vero e falso si assottiglia sempre di più; man mano, Fife smonta il suo stesso mito di ribelle.
Vediamo infatti come la maggior parte della sua vita sia stata vissuta come un codardo, un inetto che scappa dalle responsabilità e dalle decisioni abbandonando sua moglie e suo figlio, pensando solamente al suo tornaconto. Il film gioca sul fatto che per tutta la vita Fife sia stato rappresentato come un coraggioso oppositore alla guerra e combattente per la pace, quando in realtà si svela una persona egoista, dalla vita fasulla e dall’emotività arida. Rappresentativa di ciò è ad esempio la scena in cui egli stesso rivela di aver iniziato la sua carriera di documentarista totalmente per caso.

L’autoracconto che egli fa davanti alle telecamere risulta confusionario e lo spettatore si trova davanti ad un miscuglio di ricordi dove non si comprende ciò che è o non è accaduto realmente (elemento che ricorda The Father – Nulla è come sembra di Florian Zeller del 2020). Leonard si mostra quindi un uomo inaffidabile che non è mai stato capace di essere sincero né con gli altri né con se stesso, dimostrando di non amare veramente chi lo circonda, fatta eccezione per Emma (Uma Thurman), la moglie che lo accompagna nella malattia.
Esteticamente il film è ben eseguito, passando dalle parti a colori a quelle in bianco e nero presenti soprattutto nei flashback di Fife. Questo contrasto tra i colori rappresenta un po’ il conflitto e la dicotomia che vive internamente quest’uomo, che si rende conto, giunto ai suoi ultimi giorni, di aver vissuto una vita piena di successi professionali in cui però portava una maschera, quasi pirandelliana, celando al pubblico la sua vera indole.
Schrader, grazie anche ad una sceneggiatura convincente che indaga sulla vita di quest’uomo, riesce ad intrecciare un pezzo fondamentale di storia americana a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, durante la guerra in Vietnam.
Grazie alle riprese nel momento dell’intervista vi è quasi un faccia a faccia tra lo spettatore e Leonard, il quale sembra quasi confessarsi e redimersi dai suoi peccati e tradimenti.
Richard Gere, infatti, compie un grande lavoro interpretando Fife durante l’anzianità e mostrando il lato più malinconico e quasi pentito dell’uomo. Anche Jacob Elordi non delude presentando, quasi contrariamente a Gere, un uomo senza rimorsi né troppi ripensamenti verso ciò che lascia e verso coloro che lo amano, che quasi lascia terra bruciata ovunque passi.
Interessante è inoltre il personaggio di Emma, una donna ormai stanca e provata dalla malattia di Fife e che si occupa amorevolmente di lui, ma le cui certezze cominciano a sgretolarsi nel momento dell’intervista, quando egli stesso espone la sua vita. Lei sembra quasi non riconoscerlo e ciò la porta a pensare che lui sia fuori di sé, fino al punto di pensare di interrompere l’intervista stessa.
Oh, Canada è quindi un film che silenziosamente riesce ad insinuarsi nei pensieri dello spettatore, portandolo a prendere coscienza del fatto che non tutto è come sembra e che anche davanti al più osannato professionista si cela un essere umano fatto di pregi e difetti.

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