MACISTE

Questa voce fa parte 25 di 34 nella serie N7 2025

MUTO

Di Gianluca Meotti

Se un film come Maciste (Luigi Romano Borgnetto, Vincenzo Denizot, 1915) uscisse oggi parleremmo di stand-alone, quei film dedicati esclusivamente ad un personaggio introdotto in un’altra opera. Maciste, infatti, è apparso per la prima volta nel 1914 come salvatore della piccola Cabiria nel film omonimo di Giovanni Pastrone; nonostante la sua subalternità nel film, ne diventa l’epicentro emotivo/divistico, spingendo la casa di produzione a farlo presenziare a numerose proiezioni, tanto era la presa che aveva nei confronti del pubblico (senza possibilità di proferire parola e con il volto dipinto di nero, in quanto Maciste è uno schiavo numida). Da qui il passo è breve, infatti, anche se il primo cinema italiano difetta di una pianificazione editoriale che gli costerà tutto sul lungo periodo; i produttori di Cabiria (Itala Film) capiscono che l’occasione è troppo ghiotta per farsela scappare ed iniziano la serie dedicata al loro eroe un anno dopo la sua prima comparsa, nel 1915.

Maciste (Bartolomeo Pagano) è il principale divo della Itala Film. Nonostante sia passato del tempo dall’uscita di Cabiria, il film continua ancora il suo viaggio nelle sale e strega platee infinite. Fra queste c’è una giovane ragazza, Josephine (Clementina Gay), che trova rifugio in un cinema dopo essere sfuggita a degli sgherri, inviati dal malvagio patrigno, che vorrebbero ucciderla; alla vista di Maciste sul grande schermo, capisce di aver trovato la soluzione ai suoi problemi e il giorno dopo gli fa recapitare una lettera in cui domanda l’aiuto del divo. Incontrata la giovane e ascoltata la sua storia, Maciste decide di aiutarla, mettendosi contro l’intera compagine schierata dal perfido patrigno.

Ciò che più salta agli occhi oggi in Maciste è l’incredibile predisposizione all’atletismo filmico che mette in scena Pagano: senza stunt né cascatori, l’ex portuale, quando il cattivo di turno fa scomparire il pavimento da sotto i suoi piedi, rimane sospeso tra le pareti di uno stretto corridoio grazie solamente alla forza che ha nelle braccia; oppure stupisce anche quando da terra, legato mani e piedi, riesce ad alzarsi e ad arrampicarsi sopra un tavolo fino a raggiungere il soffitto (che poi spaccherà a testate) per liberare la povera Josephine, anch’essa legata ma un piano più in alto. Ed è questa sua baldanza allo stesso tempo incredibile ma molto reale (il montaggio narrativo è ancora un concetto lontano) a fondare il mito di Maciste, dando al film l’aura del grande spettacolo quasi circense che il cinema possedeva ai suoi albori; uno sguardo (quello di chi guarda) che non può non meravigliarsi di fronte alle prestazioni fisiche di un uomo che è come noi e al contempo ci è così diverso. L’estasi per Pagano è totalizzante, capace anche di non far notare più di tanto gli obblighi narrativi da romanzo d’appendice (necessari all’epoca, ma ormai retorici). Anche perché, in tutto ciò, la regia di Borgnetto e Denizot sembra aver assimilato la lezione di Cabiria; quel timido uso di carrelli in avanti conferisce una piacevolissima dinamica, sviluppata, neanche a dirlo, attorno al corpo del protagonista.

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Autore

  • Studente DAMS di giorno; per il resto cinema, film e pellicole cinematografiche. Nella sua testa c’è sempre un piccolo Marshall McLuhan che gli dà ragione.


     

     

     

     

     

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