NUOVE USCITE
Di Riccardo Morrone
Coeur d’Alene, Idaho, 1983: un gruppo di suprematisti bianchi genera scompiglio con bombe in sexy shop e cinema porno e rapine a banche e portavalori, in vista di un folle e scriteriato progetto rivoluzionario; il navigato detective del FBI Terry Husk (Jude Law), giunto in Idaho con l’intenzione di «rallentare» dopo una carriera ventennale a New York alle prese con la famiglia Lucchese e il KKK, si mette sulle loro tracce, affiancato nell’operazione dal giovane agente Jamie Bowen (Tye Sheridan) e dalla collega di lunga data Joanne (Jurnee Smollett). Con l’incedere della narrazione, l’indagine assumerà sempre di più i tratti di un confronto individuale, un serrato testa a testa dal retrogusto manniano tra il leader del gruppo Robert Mathews (Nicholas Hoult) e l’irremovibile Terry, troppo caparbio per mollare la presa.
Ispirato al saggio The Silent Brotherhood (1989) di Kevin Flynn e Gary Gerhardt, The Order (Justin Kurzel, 2024) ripercorre le vicende criminali dell’omonimo nucleo terroristico nel biennio 1983-84. Kurzel porta sullo schermo un thriller ordinato, composto, forse incapace di divincolarsi dai modelli a cui evidentemente si rifà – su tutti Il cacciatore (The Deer Hunter, 1978) di Micheal Cimino – e manchevole di guizzi memorabili. Resta però, a conti fatti, un prodotto piacevole nel quale la mano salda del regista australiano garantisce il giusto respiro all’azione: in particolare, il massacro di Alan Berg (Marc Maron), il broadcaster radiofonico vittima dell’odio antisemita raccontato da Oliver Stone in Talk Radio (1988), è girato con chirurgica freddezza e laconica precisione e rappresenta probabilmente il picco più alto offerto dalla pellicola.
La presenza di Jude Law, il suo volto e i suoi baffi donano spessore e credibilità ad un personaggio che altrimenti non si distaccherebbe molto dallo stereotipo dello sbirro arido e consumato. Discorso simile anche per Nicholas Hoult che, seppur britannico di nascita, con il suo sguardo glaciale ed enigmatico sembra nato per tinteggiare la meschinità di un certo tipo di americano. Il suo personaggio, Bob Mathews, e quello di Richard Butler (Victor Slezak), “padre spirituale” dell’Aryan Nations, forniscono due interessanti modelli di leader degenerato a confronto: quale dei due dovremmo temere di più? Il primo, più deciso e risoluto, efferato e sanguinario? Oppure il secondo, più riflessivo e paziente, chiuso nella sua fortezza ad Hayden Lake (ID) ma anche estremamente consapevole della sua posizione e del suo potere? È proprio quest’ultimo a dire, rivolgendosi a Terry a proposito dell’esistenza della frangia di Mathews, «dovrebbe comprenderlo, essendo lei in una setta come il governo federale». Un punto di vista in qualche modo interessante poiché, per quanto bizzarro possa sembrare, porta in superficie tutte le crepe e le deformità di un sistema tutt’altro che perfetto e universalmente condiviso, così come di un’identità nazionale – allora come oggi – manifestamente precaria e frammentata. È infatti fondamentale in The Order il richiamo all’America profonda, quella sconfinata e marginale, perfetto terreno di coltura per xenofobia e intolleranza, e risulta altrettanto significativo l’emergere dell’aspetto rituale dell’estremismo di destra che si manifesta, ad esempio, nel miscuglio eterogeneo delle icone adottate (le croci, le svastiche, la bandiera confederata, ecc.) e fa sì che non stupisca affatto l’utilizzo come “manuale di istruzioni” ideologico e operativo del libro The Turner Diaries, romanzo distopico scritto da William Luther Pierce nel 1978.
The Order ha dunque il merito di utilizzare le forme del genere per rappresentare alcuni spettri che riecheggiano anche sul nostro presente. Certo, lo fa rimanendo in superficie e rinunciando alla ricerca di particolare profondità o elaborazione, ma ciò non ridimensiona il valore di un solido thriller d’azione, dal 6 febbraio disponibile su Prime Video.

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