SING SING

Questa voce fa parte 34 di 41 nella serie N3 2025

GLI OSCAR

Una storia autentica e toccante ingiustamente finita in penombra

Di Alessia Vannini 

Se una cosa è certa, è che questa edizione degli Academy Awards ha lasciato in disparte un grande numero di film eccezionali che hanno ricevuto poche o zero candidature, portando avanti i soliti cinque o sei film ed impedendo così ad altre pellicole altrettanto meritevoli (se non persino di più) di emergere. Mi sto riferendo, tra i tanti, a Sing Sing (2023), il secondo lungometraggio del regista Greg Kwedar.

Il film, che ha richiesto più di sette anni di lavorazione, è stato sia diretto che co-scritto da Kwedar, ed è stato  presentato in anteprima al Toronto International Film Festival del 2023, dove è stato poi acquistato dalla A24  per la distribuzione cinematografica. Se devo essere sincera, sono piuttosto scettica nei confronti delle acquisizioni dei diritti distributivi della A24 perché, nella maggior parte dei casi, finisce che i film ottengono una distribuzione relativamente scarsa, in un numero di sale ristrette e con tempi biblici rispetto alla data della première mondiale (chiaramente, tutt’altro è il discorso se A24 produce interamente un film anziché comprare solo i diritti distributivi a posteriori).

Non so se la casa di produzione si possa effettivamente definire tutt’ora come promotrice di film indipendenti, dal momento che si sta via via comprando film di un calibro sempre più alto. Diciamo che per l’acquisizione dei diritti distributivi dei film del 2024, sicuramente The Brutalist (Brady Corbet, 2024) ha  ottenuto un successo maggiore rispetto a Sing Sing. Non sto dicendo tuttavia che Sing Sing sia un film migliore di The Brutalist; anzi, personalmente ho apprezzato entrambi per motivi diversi. Ciò che intendo è che The Brutalist ha avuto una distribuzione più efficace, il che gli ha permesso di raggiungere un pubblico più vasto e di ottenere maggiore attenzione. Sing Sing, invece, pur essendo un film altrettanto meritevole, è rimasto più di nicchia per ragioni che hanno più a che fare con la strategia distributiva che con la qualità artistica del film. Il film di Kwedar, infatti, ha ottenuto una distribuzione talmente ridotta da essere visto da circa duecentomila persone, contro le seicentomila di The Brutalist (stando ai dati di Letterboxd, che comunque rappresentano una cifra molto approssimativa). Ancora più assurdo è il fatto che, nella maggior parte dei paesi, Sing Sing non abbia ottenuto neppure una distribuzione limitata nei cinema, ma sia stato reso disponibile direttamente sulle piattaforme streaming, mandato in onda in TV, e/o distribuito in formato DVD.

Appurato il fatto che la distribuzione di Sing Sing non gli abbia reso giustizia, vale la pena parlare di questa gemma che, seppur lasciata in penombra, racconta una storia davvero toccante e intensa. Il film segue un gruppo di detenuti del carcere di massima sicurezza di Sing Sing che partecipano al programma “Rehabilitation Through the Arts” (RTA), mettendo in scena produzioni teatrali come forma di riabilitazione. La storia si concentra principalmente su Divine G (interpretato magistralmente da Colman Domingo) e sul suo rapporto con il nuovo membro del gruppo, Clarence “Divine Eye” Maclin (che interpreta se stesso).

Non solo il film narra una storia vera, ma anche nella scelta degli attori si riflette l’idea di base del programma RTA di dare ai detenuti l’occasione di redimersi ed emanciparsi attraverso l’arte. Molti membri del cast, infatti, non sono che ex detenuti di Sing Sing che hanno preso parte al programma e che, nella  pellicola, interpretano la parte di se stessi, fornendo un valore aggiunto all’autenticità del film. Sebbene nel film sia Colman Domingo (anche produttore esecutivo) – con una performance commovente e magnetica – ad interpretare la parte di Divine G, quest’ultimo è presente nel film nei panni di un fan che chiede a John un autografo del suo libro. John “Divine G” Whitfield è, come Clarence “Divine Eye” Maclin, anche sia produttore esecutivo che soggettista.

Quindi, le nomination ed i premi contano effettivamente così tanto se film che narrano storie così belle e di grande ispirazione vengono per lo più ignorate? A mio avviso no. Io penso fermamente che Sing Sing meritasse la nomination come Miglior Film agli Oscar, anche se so che non avrebbe mai potuto avere speranze dal momento che la sfida è stata pressoché solo tra The Brutalist ed Anora (Sean Baker, 2024). Sono anche dispiaciuta del fatto che pure le sorti del Miglior Attore erano già scritte da tempo, perché attori come Colman Domingo, ma anche Sebastian Stan in The Apprentice – Alle origini di Trump (The Apprentice, Ali Abbasi, 2024), meritavano sicuramente maggiore attenzione. Lascia un po’ l’amaro in bocca anche il fatto che il film non abbia vinto neppure il premo come Miglior Canzone per Like a Bird di Abraham Alexander, Adrian Quesada e Brandon Marcel, tornando a casa con zero statuette delle sole tre  candidature (l’altra era per Miglior Sceneggiatura Adattata) ottenute. Parlando di aspetti tecnici, degne di nota sono anche la regia di Greg Kwedar – come anticipato, al suo secondo lungometraggio – la strabiliante colonna sonora composta da Bryce Dessner e la fotografia mozzafiato di Pat Scola; tutti elementi che contribuiscono a creare una certa atmosfera nel film, estremamente struggente ed umanizzante.

Oltre a raccontare la vita dei detenuti all’interno del carcere di massima sicurezza di Sing Sing, il film esplora il concetto di identità e riscatto. Attraverso il teatro, i protagonisti non solo interpretano ruoli diversi, ma riscoprono se stessi, sfidando le etichette imposte dalla società e dal loro passato. In questo senso, Sing Sing incarna perfettamente le parole di Shakespeare: “All the world’s a stage, and all the men and women merely players.” Se nella vita reale sono definiti esclusivamente dal crimine commesso e dalla loro condanna, sul palcoscenico diventano altro — non solo i personaggi delle opere che mettono in scena, spesso tratte proprio da Shakespeare, ma anche versioni di sé più libere, autentiche e complesse. Il film sottolinea come l’arte possa diventare un mezzo per riconquistare dignità e umanità, restituendo ai detenuti qualcosa che il sistema carcerario tende a negare loro: la possibilità di essere visti al di là dei propri errori. Ogni scena in cui il gruppo prova, discute o si esibisce diventa una metafora del loro percorso interiore, un tentativo di  rielaborare il dolore e di trasformarlo in qualcosa di nuovo. 

Un altro aspetto toccante di Sing Sing è il modo in cui mette in discussione il concetto di libertà. Se da un lato la detenzione fisica è una realtà ineludibile per i protagonisti, dall’altro il film mostra come la creatività possa offrire uno spazio di evasione, anche all’interno delle mura di una prigione. La libertà, in questo contesto, non è solo un concetto legato allo spazio fisico, ma si manifesta nel modo in cui i personaggi riescono a esprimere se stessi e a costruire connessioni significative. Il legame tra Divine G e Clarence  “Divine Eye” Maclin è emblematico in questo senso: due uomini che, pur condividendo un destino segnato, trovano nel teatro un linguaggio comune per comprendersi e supportarsi. Sing Sing racconta, con estrema  sensibilità, il potere della comunità nel restituire un senso di appartenenza a chi è stato messo ai margini.

Fratello, siamo qui per diventare di nuovo umani. Per metterci dei bei vestiti e ballare. E goderci le cose che non sono nella nostra realtà.” 

Sing Sing non è solo un film: è un’esperienza profondamente commovente che ha un impatto duraturo anche ben dopo i titoli di coda. Non ci racconta solamente la vita dei detenuti dell’omonimo carcere, ma ci narra anche una storia che tratta di libertà, non solo nel senso fisico, ma nel modo in cui l’arte e la comunità possono liberare un’anima, divenendo così un film che tratta tematiche universali. Mostra come la narrazione e la creatività possano essere una forma di sopravvivenza, un modo per recuperare l’identità anche negli spazi più ristretti. È un film sulla fratellanza, sui legami profondi e non dichiarati che si formano tra persone che hanno perso così tanto ma riescono comunque a trovare il modo di sperare e di andare avanti. Sing Sing mette in evidenza il potere delle seconde occasioni, non solo nella vita, ma nel modo in cui percepiamo noi stessi e il nostro valore. Non idealizza l’incarcerazione, ma invece si concentra sulla resilienza, sull’umanità  e sulla dignità delle persone che vi sono dentro. Ci ricorda che non importa da dove veniamo o dove ci troviamo, perché l’arte è pervasiva ed ha la straordinaria capacità di connetterci l’uno con l’altro, di guarirci, di trasformarci.

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Autore

  • Alessia Vannini è una studentessa di cinema e aspirante regista, sceneggiatrice ed attrice cinematografica. Sin da quando era piccola ha recitato in musical nei teatri della sua città e adesso spera, un giorno, di esordire sul grande schermo, sia che si tratti di stare di fronte alla macchina da presa, sia che si tratti di stare dietro ad essa a dirigere gli attori in scena. Parla quattro lingue (per adesso) e nel tempo libero, oltre a guardare una quantità interminabile di film, le piace scrivere articoli e recensioni sulle pellicole, sulle serie o sui registi che apprezza di più. Le piace molto andare ai film festival e partecipare a incontri, masterclass o anteprime con le sue star preferite.
    Oltre ad essere una grande appassionata di film vecchi, ama anche la musica rock anni ’50-’80 e suona la chitarra. Cinema o musica che sia, ciò che è certo è che proverà almeno una volta tutti i generi, perché non puoi dire che non ti piace qualcosa finché non lo hai provato…


     

     

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