FIL ROUGE: HALLOWEEN
Non guardare negli occhi
Di Alessandro Capecci
C’è una sequenza di Nope – l’ultimo film di Jordan Peele uscito nelle sale nel 2022 – che riesce a rappresentare perfettamente una nuova idea di horror inaugurata dal regista americano: un ranch immerso in una valle desolata completamente ricoperto di sangue, rigurgitato da una nuvola-bestia che si nutre di esseri umani ed animali, alla cui vista i protagonisti rifuggono.

In Nope, Peele sembra aver voluto afferrare due elementi fondamentali del genere d’orrore – l’apparente assenza di paura da parte dei protagonisti della narrazione e la contemporanea volontà di guardare e non guardare da parte dello spettatore – per poi rovesciarli. Se guardando un horror assistiamo canonicamente a personaggi pronti ad addentrarsi in corridoi bui o verso rumori misteriosi, qui gli addestratori del film non fanno altro che ripetere “nope” e fuggire via da dinamiche inquietanti e spaventose, allo stesso modo di come farebbe lo spettatore. Se chi si trova al di qua dello schermo desidera osservare tutto a tutti i costi, spinto da una morbosa curiosità ma protetto in quanto fisicamente distante dalla storia, i personaggi al contrario chinano la testa, distogliendo lo sguardo al fine di non attirare l’attenzione della nuvola aliena.
Come in Videodrome (1983) di David Cronenberg, allo stesso modo Peele sembra riservare una legge di contrappasso per i voyeur, gli affamati di spettacolo, coloro che continuerebbero sempre a guardare pur di rubare uno stimolo. Max Renn, il proprietario di Civic TV che si trova invischiato nell’affare Videodrome per soddisfare le sue pulsioni, prende qui l’aspetto di Ricky Park – interpretato da Steven Yeun – un presentatore sopravvissuto da piccolo alla strage compiuta da una scimmia rabbiosa durante un programma televisivo, ed infine risucchiato e digerito assieme a tutto il pubblico durante un suo spettacolo. Tutto per la morbosità di guardare.

In Videodrome, la perversione del guardare è punita con un tumore al cervello e solamente il suo protagonista, Max, riesce a sconfiggerlo, addentrandosi fino all’estrema profondità di tale perversione, mandando (letteralmente) in brandelli lo schermo (in quel caso televisivo) e rinascendo come nuova carne. In Nope, la smania di curiosità, alimentata dallo show di una scimmia assassina o da una nuvola divoratrice di cavalli, è punita direttamente con la morte. Solamente il personaggio di Daniel Kaluuya – già diretto da Jordan Peele nello scioccante Scappa – Get Out (Get Out, 2017) – riesce a rovesciare il sistema dello spettacolo e della spettacolarizzazione, decidendo, dinanzi ad una creatura che vuole essere guardata a tutti i costi, di non guardare. Chiudere gli occhi dinnanzi all’horror, alla televisione e allo spettacolo, aspettando che quest’ultimo si consumi in sé stesso, strozzandosi.

In questo senso Nope, in maniera sorprendente e un po’ inaspettata, riflette sulla condizione dello spettatore e del cinema contemporaneo, portando sullo schermo una visione estremamente originale del genere d’orrore e riportando alla memoria l’importanza della comunità afroamericana per la nascita del cinematografo, con una sequenza brillante all’inizio del film in cui Keke Palmer offre il meglio della propria comicità. Come un “cattivo miracolo”, Nope invita lo spettatore a guardare, ma rivela ad esso anche le mostruosità che lo attendono, pronte a divorarlo.


Lascia un commento