DUSE

Questa voce fa parte 23 di 34 nella serie N7 2025

NUOVE USCITE

Un contrasto delicato ed intimo ovvero: come Eleonora Duse incontrò Valeria Bruni Tedeschi in Duse

Di Sibilla Bissoni

Il fascino estremo che provo tutt’ora nei confronti dell’iconica Eleonora Duse nacque anni fa, quando, studiando gli albori del cinema, mi imbattei nell’imprescindibile figura di questa attrice teatrale e, in piccolissima parte, cinematografica. 

Circa un mese fa, incuriosita dal titolo e dall’immaginabile trama, sono andata a vedere Duse di Pietro Marcello. Il film non mi ha lasciato particolarmente stupita (del genere “a bocca aperta”), piuttosto mi sono sentita colpita in un senso maggiormente delicato e profondo.

La pellicola racconta il gran finale di vita che ebbe la grande attrice di cui porta il cognome. 

Questo viene fatto attraverso clip di repertorio riguardanti il viaggio del treno che trasportava il celebre “milite ignoto”, che accompagna una concatenazione di eventi ed emozioni caratterizzanti l’ultimo periodo della Duse. 

Un montaggio che potremmo vagamente chiamare alternato passa dal treno che arranca sui binari d’Italia alle visite sui campi di battaglia dell’attrice per rinfrancare l’animo dei soldati della Grande Guerra, agli ultimi tentativi di spiccare sui grandi palcoscenici del Paese, e ancora ai difficili rapporti con la famiglia, gli amici ed i colleghi teatranti. 

Il racconto proposto da Marcello parla in maniera evocativa allo spettatore, lasciando quasi completamente da parte una possibile narrazione classica o lineare.

Di certo, però, per parlare del film è essenziale citare in maniera importante Valeria Bruni Tedeschi, attrice italiana di straordinaria bravura ed interprete estremamente toccante, tanto da poter sembrare “esagerata” talvolta. 

La figura di Bruni Tedeschi è associabile sicuramente al suo personaggio nel film: entrambe sono considerabili Grandi Attrici della propria arte ed epoca, entrambe sono donne che hanno inciso sullo schermo e sul palco dei talenti osannati da pubblico e critica, lasciando innegabilmente un segno.

Duse è un lungometraggio che narra sopratutto di contrasti: i contrasti di un’anima complicata, una dialettica instancabile che Bruni Tedeschi esalta tramite occhi tremanti e sorrisi disperati.

Eleonora Duse fu una donna anticonformista e controversa per la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, periodo in cui visse: non si sposò mai, dedicò la vita ad una carriera artistica non soccombendo in nessun momento ad un’ombra maschile, ebbe una figlia che scelse di non crescere e di porre in secondo piano rispetto al lavoro, si lasciò dominare dalle più grandi passioni e, sopratutto, non scese a compromessi per mantenere la sua ferma indipendenza morale, personale ed economica. 

Stiamo parlando di una persona che andò letteralmente controcorrente, senza però farne un tratto di personalità in cui fossilizzarsi abbandonando ogni tipo di “divenire”.

Il contrasto in Duse inizia nella prima scena e termina esattamente nell’ultima. 

Marcello decide di soffermarsi, tramite primi e primissimi piani, su Bruni Tedeschi per buona parte del film; ciò accentua le micro-espressioni dell’interprete, che innegabilmente regge e sorregge la scena e la narrazione tutta. 

Il contrasto è, come già accennato, soprattutto nel suo sguardo, che passa dalla gioia fanciullesca alla rabbia ancestrale, dalla malinconia vitrea alla speranza genuina. Gli occhi dell’attrice così lottano tra sentimenti opposti, ma non solo loro. Anche le parole in questo film sono importanti, e con loro i gesti. I due ambiti viaggiano orizzontali nell’interpretazione della protagonista, come nel grande teatro in cui lavorò Eleonora Duse; testo e sotto-testo valevano in maniera paritaria nelle rappresentazioni. 

Sarebbe banale e poco interessante parlare degli altri contrasti più evidenti nella pellicola: quello con D’Annunzio, con Mussolini, con la famiglia, con la sua compagnia… Questi, nella narrazione del film, rappresentano degli specchi che riflettono solo e solamente Duse, le sue manie, i suoi rimpianti e le sue speranze. I contrasti “esterni”, presenti dall’inizio alla fine, sono null’altro che proiezioni di drammi interni della donna sul prossimo.

Il film potrebbe essere giudicato semplicisticamente egocentrico nei confronti dell’attrice che interpreta la protagonista; eppure, per me questo è solo simbolo di una metafora dedicata a chi conosce il teatro “dei Grandi Attori” a cavallo tra XIX e XX secolo. 

Mi spiego meglio: nel teatro italiano di fine Ottocento e inizio Novecento regnava come un despota assoluto il Grande Attore, protagonista di un’opera teatrale e capo di ogni cosa che stava dietro e sulla scena. In un’epoca dove la figura del regista, che diverrà imprescindibile nel teatro di regia del secolo scorso, non aveva ancora attecchito nel Bel Paese, il dittatore-Grande Attore regnava narcisista nelle compagnie teatrali, dettando buono e cattivo tempo nei drammi e sui testi. 

Eleonora Duse lavorava proprio durante questo periodo e fu una delle prime attrici ad abbandonare il grande egocentrismo dei suoi colleghi, preferendo e praticando egregiamente una recitazione maggiormente naturalista ed esercitando il suo ruolo ponendosi “alla pari” con chi le stava accanto, proponendo così una grande innovazione nella maniera di intendere il teatro tutto. 

Nonostante ciò, il poeta vate D’Annunzio la rinominò “la Divina” e il soprannome non fu solo un grande complimento posto sempre sulla sua testa, ma anche un dato di fatto (torniamo al tema del contrasto) conclamato: Duse poteva porsi nel modo più umile del mondo con i colleghi, ma quando apriva bocca e si muoveva sul palco faceva illuminare le anime di ogni spettatore, brillando più che mai di un talento che la pose sempre ad un livello superiore agli altri.

Il film, attraverso questa metafora di Bruni Tedeschi sempre al centro di tutto (come lo fu Duse nella sua vita reale), parla di una grandezza spropositata di un individuo che però desidera armonia e parità

Ed ecco quello che penso essere il contrasto più grande di tutti: quando un talento splende più forte di qualsiasi tentativo di rimpicciolirlo, è possibile vivere davvero in sintonia con gli altri? 

Duse è semplice nella sua grandezza. 

È una grandezza che non risiede in un “Wow” immediato, bensì in tanti piccoli gesti e parole che evocano e non dicono, che trasmettono e non ammettono.

Consiglio di vederlo per poter guardare un po’ più da vicino una vicenda umana che sa insegnare tanto, per guardare un lungometraggio delicato e intimo, interpretato magistralmente e che compie una piccola, dolorosa magia: farci accettare che i conflitti interni non sempre si risolvono, anche se si possono guarire.

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Autore

  • Sibilla Bissoni, classe 2004, nasce a Ravenna circa vent’anni fa. Frequenta il liceo artistico della città e si appassiona inizialmente alla fotografia ed in seguito al mondo del cinema, portando sempre avanti un amore parallelo per l’arte teatrale.
    Attualmente studia e vive a Bologna, frequentante del DAMS e frequentatrice di vari cinema, teatri e locali.
    Di lavoro fa la videomaker, destreggiandosi tra discoteche, eventi di varia natura e all’occorrenza matrimoni.
    Adora il reportage e la sua videocamera, le piace osservare quel che può e poi raccontarlo a parole o ad immagini.
    Pensa che un giorno sarebbe bello realizzare un vero documentario (e magari anche più di uno, e magari anche un film…) e contemporaneamente scrivere di quello che ama per vivere.


     

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