NUOVE USCITE
Resistenza della memoria fino alla vittoria
Di Alessandro Capecci
Una donna palestinese fissa lo sguardo sulla macchina da presa. La bandiera con i colori di Al-Fatah sventola contro i coloni israeliani nella Cisgiordania occupata. Un proiettile attraversa in uno schianto il vetro di una macchina.
Come appare il cinema nazionale palestinese se l’affermazione dell’identità storico-sociale del proprio popolo è repressa, tradita e osteggiata sin dai tempi dell’impero ottomano? La risposta non è complessa: permeato dal ricordo e della conseguente rappresentazione della catastrofe subita e delle rivoluzioni messe in atto. Sfogliando su Letterboxd le produzioni internazionali che includono lo Stato di Palestina, ci si accorge che, nonostante la sussistenza di generi differenti tra di loro, la maggior parte di queste condivide un elemento comune, cioè la ricorrenza della memoria storica – familiare, collettiva o individuale che sia – come proprio oggetto narrativo. L’al-Nakba, la prima intifada, l’occupazione coloniale della Cisgiordania e i massacri nella Striscia di Gaza sono massicciamente presenti nelle opere documentaristiche e di fiction palestinesi, portati con costanza sullo schermo per ricordare a sé stessi e al resto del mondo ciò che si è compiuto e che si sta compiendo. Rappresentare, infatti, significa anche suggellare nella memoria e rendere legittimo, e viceversa.

Il film di Cherien Dabis, Tutto quello che resta di te (اللي باقي منك), sembra muoversi a partire da queste premesse. Una storia familiare di finzione il cui racconto inizia nel 1948 e si conclude nel 2022 non può fare altro che relazionarsi e provare a comunicare con i violenti movimenti compiuti dalla vera storia nazionale palestinese. Ed è proprio attraverso il dispiegamento di quest’ultima che riesce ad emergere il grande senso di cinema della Dabis e del direttore della fotografia, Christopher Aoun: l’aranceto e l’abitazione di famiglia a Giaffa diventano una cornice protettiva dalla violenta incursione sionista, la sagoma del personaggio di Sharif (Adam Bakri, Mohammad Bakri) che si staglia al tramonto all’interno di un campo di prigionia israeliano diviene agli occhi dello spettatore un’immagine profondamente emozionante. I personaggi e le scenografie di Tutto quello che resta di te vacillano in un boato, ma non crollano: durante i bombardamenti nemici, mentre Sharif e Munira (Maria Zreik) radunano i loro figli sotto l’architrave del salotto di casa, questa rimane intatta, integra nella propria solidità. Le stesse accezioni sembrano imprimersi nell’animo di Sharif e rimanere con lui per tutta la vita.

Nel primo salto temporale che la narrazione del film compie arriviamo al 1978. Salim (Saleh Bakri, Salah El Din), figlio di Sharif e Munira, si è sposato con Hanan (Cherien Dabis), e vive con la famiglia assieme al vecchio padre. Tuttavia, trent’anni dopo l’al-Nakba, sembra compiersi uno scollamento famigliare e storico tra Salim e Sharif. L’anziano, la cui demenza lo porta progressivamente a confondere date, luoghi e avvenimenti – emblematica la sequenza in cui, ormai in Cisgiordania, egli cerca in un momento di confusione l’aranceto di Giaffa, che intanto è stata occupata da Israele e inglobata nella città di Tel Aviv –, continua comunque a narrare della cacciata del popolo arabo dalla terra che apparteneva loro e della necessità della resistenza palestinese; Salim, al contrario, nonostante subisca soprusi e umiliazioni, vede ormai come ineluttabile l’occupazione coloniale israeliana, rigetta l’urgenza del tramandarsi della memoria storica ed è anzi turbato dagli effetti che i racconti del nonno potrebbero sortire su suo figlio, il piccolo Noor (Sanad Alkabareti). Ma come un irrefrenabile conato, come un flusso sanguigno carotideo, l’eredità del ricordo e soprattutto della resistenza ha troppa potenza per poter essere arrestata.
Siamo nel 1988, durante la prima intifada nei territori occupati della Cisgiordania. Il giovane Noor ha compreso la natura oppressiva del sionismo nei confronti delle terre abitate da lui e dalla sua famiglia, e così non esita nell’unirsi ad uno scontro con l’esercito israeliano. Le parole che grida sono una manciata, il tempo che trascorre nella folla altrettanto poco: un proiettile oltrepassa il vetro di una macchina in cui si stava rifugiando e lo raggiunge in testa, mandandolo in coma. Noor, figlio di Salim e Hanan, non si risveglierà mai più. La memoria del figlio assassinato, come quella dell’intero popolo palestinese, merita l’onore di rimanere indimenticata, sembrano comprendere in una tragica epifania Salim e Hanan. Inizia per loro un pellegrinaggio laico in visita delle famiglie e delle singole persone che hanno ricevuto gli organi di Noor, e assieme ad essi la coscienza di una resistenza esistenziale.
Se alla fine della narrazione filmica lo sguardo di Hanan è indirizzato verso un giovane israeliano salvato dal cuore di Noor, nella realtà la donna guarda lo spettatore, parlandogli direttamente: resistenza della memoria fino alla vittoria, fino alla nascita di uno stato di Palestina, ed oltre.
Tutto quello che resta di te di Cherien Dabis è ora al cinema.


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