CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA

Questa voce fa parte 6 di 41 nella serie N3 2025

27-99: IL CINEMA CHE RIFLETTE SU SE STESSO

Un inno alla gioia del cinema

Di Miriam Padovan

Cosa rende un film immortale? Forse la sua capacità di superare le epoche, di continuare a emozionare generazioni su generazioni. Cantando sotto la pioggia (Singin’ in the Rain, 1952) rientra proprio in questa categoria: un musical che ha fatto la storia del cinema e che ancora oggi incanta con la sua energia, il suo umorismo e la sua pura magia visiva. Diretto da Stanley Donen e Gene Kelly, il film è un omaggio, una celebrazione e persino una parodia dell’epoca di transizione dal cinema muto al sonoro, confezionato con una perfezione tecnica e narrativa che pochi altri titoli possono vantare.

Siamo a Hollywood, nel 1927. Don Lockwood (Gene Kelly) è una star del cinema muto, idolatrato dal pubblico e in coppia artistica (ma non sentimentale) con Lina Lamont (Jean Hagen), un’attrice bellissima ma dotata di una voce stridula e fastidiosa. L’avvento del sonoro mette a rischio la carriera di Lina, mentre Don, insieme all’amico Cosmo Brown (Donald O’Connor) e alla talentuosa aspirante attrice Kathy Selden (Debbie Reynolds), cerca di trovare una soluzione: trasformare il loro film Il cavaliere spadaccino in un musical (cambiando anche il titolo ne Il cavaliere della danza) e sostituire segretamente la voce di Lina con quella di Kathy. Lina è l’anello debole di un sistema che sta cambiando, e la sua lotta disperata per rimanere sulla cresta dell’onda la rende uno dei personaggi più memorabili ed ironici del film. Tra equivoci, canzoni memorabili e numeri di danza spettacolari, il film si snoda in una storia spumeggiante che parla di cambiamento, adattamento e della magia del cinema.

Una delle particolarità di Cantando sotto la pioggia è che la sceneggiatura è stata scritta dopo la selezione delle canzoni. Questo significa che gli sceneggiatori, Betty Comden e Adolph Green, hanno dovuto costruire la storia attorno a brani preesistenti, tranne uno, la struggente Moses Supposes. Eppure, il risultato è sorprendente: ogni canzone si incastra perfettamente nella narrazione, regalando momenti di pura estasi cinematografica. Oltre a essere un musical straordinario, Cantando sotto la pioggia è anche una riflessione sul cinema stesso. L’industria cinematografica degli anni Venti viene raccontata con affetto ma anche con una buona dose di ironia: le difficoltà del passaggio al sonoro, le voci inadatte, le tecniche di doppiaggio improvvisate, tutto viene messo in scena con intelligenza e umorismo.

Ma c’è anche un senso di nostalgia per un’epoca che stava finendo, per un cinema che lasciava spazio a nuove tecnologie e nuovi linguaggi.

Gene Kelly è il cuore pulsante del film. Il suo stile di danza atletico, potente e spontaneo lo distingue da Fred Astaire, più raffinato e leggero. Kelly è un ballerino che suda, che si muove con un’energia travolgente e che fa della danza un’esplosione di gioia fisica. Il numero Singin’ in the Rain è il suo manifesto: Don, innamorato, passeggia sotto la pioggia e balla come se il mondo intero fosse un palcoscenico. Un momento di pura euforia che è diventato una delle scene più iconiche della storia del cinema.


Accanto a Kelly, Donald O’Connor regala un’interpretazione straordinaria nei panni di Cosmo Brown, spalla comica e amico inseparabile del protagonista. Il suo numero Make ‘Em Laugh è una prova di comicità fisica eccezionale, un tour de force che sfida la gravità e che ancora oggi lascia a bocca aperta. O’Connor, con la sua elasticità e il suo tempismo perfetto, è uno degli elementi più brillanti del film.

La regia di Donen e Kelly è dinamica, elegante e innovativa. Non si tratta solo di filmare numeri musicali, ma di integrarli perfettamente nella narrazione. Il montaggio fluido, l’uso dello spazio e della scenografia (che diventa parte attiva delle coreografie) sono elementi che rendono il film un gioiello visivo. La sequenza Broadway Melody, con Cyd Charisse, è un esempio perfetto di questa maestria: una parentesi onirica che racconta il sogno di Hollywood in pochi, straordinari minuti. Quando uscì, Cantando sotto la pioggia non ottenne il successo immediato che merita. Fu oscurato da Un americano a Parigi (An American in Paris, Vincente Minnelli, 1951), altro grande musical con Kelly, che vinse l’Oscar come miglior film.

Ma il tempo ha rimesso le cose a posto: oggi è considerato non solo il miglior musical di sempre, ma uno dei più grandi film della storia del cinema. Il suo stile, la sua energia e la sua capacità di emozionare non sono mai invecchiati.

Cantando sotto la pioggia è molto più di un semplice musical: è un inno alla gioia, un’opera d’arte che celebra il cinema e la sua capacità di farci sognare. Ogni volta che Gene Kelly salta su quel lampione sotto la pioggia, ci ricorda che il cinema è magia, che la vita può essere vista con leggerezza e che, a volte, basta una canzone per rendere il mondo un posto migliore. Se non l’avete mai visto, fatelo subito. Se l’avete già visto, riguardatelo. Perché certi film non smettono mai di farci sognare.

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Autore

  • Padovan Miriam nasce e decide di fare l’artista. Dopo un’infarinatura decisamente disomogenea, pensa di voler diventare una qualsiasi regista indie femminista ma il suo anno da fotografa per matrimoni le fa cambiare subito idea. Inizia a bingewatchare video di Barbero e scopre la sua vera passione: dare aria alla bocca. Approda al DAMS e, dopo essersi guadagnata la fama grazie al suo spaccio di appunti (secchiona e pure sottona), finisce per diventare redattrice di questa rivista.
    Il suo sogno sarebbe continuare a fare quello che fa adesso, ma da pagata: stare seduta sul proprio culo lamentandosi di come gli altri potrebbero fare meglio. Ha una terribile ironia ed i gusti artistici di una sedicenne: un’intellettuale wannabe che ha ancora troppo da imparare per avere un’opinione ma che, tra una cazzata e l’altra, a volte, ha ragione.


     

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