VIALE DEL TRAMONTO

Questa voce fa parte 5 di 41 nella serie N3 2025

27-99: IL CINEMA CHE RIFLETTE SU SE STESSO

Le star sono rimaste grandi, sono i film ad essersi rimpiccioliti 

Di Alessia Vannini

You’re Norma Desmond! You used to be in silent pictures, you used to be big. 
I am big. It’s the pictures that got small. 

Viale del tramonto (Sunset Boulevard, 1950), uno dei grandi capolavori del Maestro Billy Wilder, è più che  un semplice film. È un’ode al cinema e, al contempo, una critica spudorata all’industria cinematografica.  In quest’opera d’arte senza tempo, il regista ci riporta a quegli anni di grande cambiamento negli studios di Hollywood, mostrandoci come, in fin dei conti, la fama non sia altro che un fiammifero: un tempo ardente e luminosa ma ben presto destinata ad estinguersi.

Il film segue le vicende dei suoi due personaggi principali: Joe Gillis (William Holden), uno sceneggiatore in  difficoltà, e Norma Desmond (Gloria Swanson), ex diva del cinema muto. Già dalla scena d’apertura, Wilder ci mostra lapidariamente la crudeltà di Hollywood, pronta a far annegare – letteralmente, in questo caso – tutti coloro che non sono in grado di stare al passo con un’industria che cambia costantemente e che non ha tempo di stare ad aspettare chi non riesce a correre di pari passo col suo incessante avanzamento.

Come anticipato, la scena iniziale di Viale del tramonto è iconica e subito metacinematografica: il film si apre infatti con una ripresa dal basso della strada Sunset Boulevard. Da qui, la cinepresa segue freneticamente le auto della polizia e le ambulanze che si dirigono verso una villa lussuosa a Beverly Hills.  Arrivati sul posto, i poliziotti trovano il cadavere di un uomo galleggiare nella piscina.

L’inquadratura, innovativa per l’epoca, mostra il corpo visto dal fondo della piscina, con un effetto distorto dall’acqua. A  guidare lo spettatore è, sorprendentemente, la voce narrante in prima persona dello stesso Joe Gillis. La sua  voce fuori campo, cinica e disillusa, introduce il pubblico nella storia, raccontando con amara ironia le circostanze della sua morte. Questo espediente narrativo rompe le convenzioni classiche, immergendo subito lo spettatore in una struttura metacinematografica che racchiude in sé – nella sua trama, nelle tecniche  di ripresa e nelle tematiche che tratta – la ventata di cambiamento e l’ancoramento ad un passato glorioso che sono il centro nevralgico del film. Come ben si comprende dopo una manciata di secondi di proiezione, il  film è raccontato da un morto, suggerendo fin dall’inizio una riflessione sul destino e l’illusione di  Hollywood.

Vale la pena, prima di procedere ad analizzare la trama del film, concentrarsi sul suo titolo. Il nome “Sunset Boulevard”, derivante dalla celebre strada di Los Angeles, è immediatamente evocativo dell’industria cinematografica per diversi motivi:

∙ La strada attraversa Hollywood, costeggiando gli studi cinematografici, i teatri di posa, i locali frequentati da attori, registi e produttori e divenendo, di conseguenza, il cuore dell’industria.

∙ Nella suddetta strada, simbolo al contempo della vecchia e della nuova Hollywood, trovano dimora tanto le emergenti star glamour quanto le stelle ormai in declino (come Norma Desmond). Sunset Boulevard è infatti sia il viale delle grandi opportunità che quello degli sconfitti, riflettendo la dicotomia di Hollywood: sogni realizzati e sogni infranti

∙ Il nome stesso (Sunset, “tramonto”) suggerisce il declino, un tema chiave del film che verrà approfondito in seguito. 

In conclusione, il titolo non è solo una localizzazione geografica, ma una potente metafora del sogno e dell’incubo di Hollywood, della fama e della caduta nell’oblio.
Chiaramente, nonostante il film sia uno splendido noir – come lo sono del resto tutti gli altri film dell’inimitabile Billy Wilder – la morte (fisica) di Joe passa in secondo piano, lasciando spazio alla morte, in questo caso psicologica, di Norma Desmond. Come Segismundo, che nell’opera di Pedro Calderón de la Barca si ritrova isolato in una torre, prigioniero di un destino predeterminato e sospeso in un limbo tra cruda realtà e sogni di libertà, così Norma Desmond è intrappolata nella sua disillusione, incapace di distinguere la realtà dalla sua illusione di gloria passata. La celeberrima frase dell’opera dell’autore spagnolo si applica perfettamente a questo film: 

La vita è sogno e i sogni, sogni sono.” 

Viale del tramonto fornisce una magistrale quanto agghiacciante rappresentazione di ciò che la celebrità – o più precisamente la sua perdita – può fare alle persone. L’età d’oro del cinema muto ha ormai raggiunto il  suo crepuscolo. Ci troviamo in una nuova epoca, dove le Gloria Swanson, le dive del cinema muto, sono dimenticate; dove gli Erich von Stroheim sono relegati a essere i servi delle loro vecchie star; dove i Cecil B. DeMille si sono convertiti al sonoro e dove le Hedda Hopper, le Anna Q. Nilsson, gli H.B. Warner ed i Buster Keaton non sono altro che compagni di giochi di carte. L’enorme palazzo di una vecchia diva, dove le stelle del calibro di Rodolfo Valentino venivano a ballare, è ora un vecchio rudere. Tutta quell’età d’oro è ormai niente più che un cumulo di macerie, e quelle grandi star, pietre miliari del settore, sono precipitate nell’oblio.

Ulteriori riferimenti interni al cinema sono il proiettore nella villa di Norma, che riproduce i suoi vecchi film (tra l’altro, veri film di Gloria Swanson). Inoltre, l’uso delle luci e delle ombre, che è vagamente reminiscente dell’Espressionismo tedesco, sottolinea ulteriormente il carattere onirico e teatrale della vicenda. Emblematico è anche il contrasto tra i due stili di recitazione: Gloria Swanson utilizza espressioni e gesti teatrali tipici del muto, mentre William Holden è più realistico e disilluso. La figura di Joe Gillis rappresenta anche il cosiddetto “ghostwriter”, vale a dire uno sceneggiatore privo di riconoscimenti, in un ambito in cui solo le belle facce sono destinate ad emergere – sebbene anche chi brilla sotto i riflettori di Hollywood sia condannato, presto o tardi che sia, a svanire.

Sarà anche vero che la fama è transitoria e che i “cinque minuti di gloria” passano in fretta, ma se ancora  oggi continuiamo a guardare e a parlare dei film di Wilder, delle pellicole mute con Gloria Swanson e dei  capolavori di Buster Keaton, Cecil B. DeMille, Erich von Stroheim e via dicendo, forse è perché il cinema ha veramente questo potere speciale di rendere immortali le star ed eterne le storie che essi incarnano. È vero, Buster Keaton “se l’è vista brutta” quando i film sono diventati sonori, essendo il suo cinema interamente incentrato sulle gag fisiche. Tuttavia, non vanno dimenticate le sue apparizioni in lavori degli anni successivi, come in questo film o anche in Luci della ribalta (Limelight, 1952) di Charlie Chaplin (anch’esso emblema di una fama svanita). 

Viale del tramonto è un film estremamente amaro e nostalgico. Ci mostra come i tempi cambino e come non tutti siano in grado di tenere il passo con le transizioni. Viale del tramonto, oltre alla critica dell’industria che mette in atto, resta comunque un’ode a quegli anni d’oro e a tutti gli artisti che hanno fatto del cinema quello che è oggi, e i cui film restano tutt’ora nei nostri cuori. Billy Wilder mostra la dura realtà del tramonto della fama, ma rende anche omaggio ai grandi artisti dell’era silenziosa, dando loro un’ultima possibilità di brillare sullo schermo, proprio come sognava profondamente Norma Desmond.

È strano come le persone diventino gentili con te una volta che sei morto. 

Viale del tramonto è un capolavoro del metacinema perché non solo racconta Hollywood, ma la smaschera e la decostruisce. È un’opera senza tempo perché l’industria del cinema continua a dimenticare le sue vecchie glorie e, ahimè, a sfruttare chi lavora dietro le quinte. Il suo finale iconico, con Norma che scende la scalinata credendosi davanti alle cineprese, è una delle rappresentazioni più potenti della follia e dell’illusione cinematografica, in cui il cinema diventa l’unica via praticabile. 

All right, Mr. DeMille, I’m ready for my close-up.

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Autore

  • Alessia Vannini è una studentessa di cinema e aspirante regista, sceneggiatrice ed attrice cinematografica. Sin da quando era piccola ha recitato in musical nei teatri della sua città e adesso spera, un giorno, di esordire sul grande schermo, sia che si tratti di stare di fronte alla macchina da presa, sia che si tratti di stare dietro ad essa a dirigere gli attori in scena. Parla quattro lingue (per adesso) e nel tempo libero, oltre a guardare una quantità interminabile di film, le piace scrivere articoli e recensioni sulle pellicole, sulle serie o sui registi che apprezza di più. Le piace molto andare ai film festival e partecipare a incontri, masterclass o anteprime con le sue star preferite.
    Oltre ad essere una grande appassionata di film vecchi, ama anche la musica rock anni ’50-’80 e suona la chitarra. Cinema o musica che sia, ciò che è certo è che proverà almeno una volta tutti i generi, perché non puoi dire che non ti piace qualcosa finché non lo hai provato…


     

     

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