L’APPARTAMENTO

Questa voce fa parte 9 di 40 nella serie N2 2025

27-99: COPPIE FUORI E DENTRO IL CINEMA

Di Miriam Padovan

Se il cinema francese ha un talento innato per trasformare il banale in sublime e l’intrigante in insopportabilmente complicato, L’appartamento (L’Appartement, Gilles Mimouni, 1996) ne è un esempio perfetto. Questo thriller sentimentale, che mescola voyeurismo hitchcockiano con la nostalgia struggente del cinema romantico, è un’opera che si avvolge su se stessa in una spirale di inganni, passioni e coincidenze improbabili. Il film, pur con le sue ambizioni da opera sofisticata, rischia spesso di inciampare su se stesso, ma è comunque una visione ipnotica, capace di tenere lo spettatore incollato allo schermo.

La trama è un intricato gioco di specchi deformanti: Max (Vincent Cassel), un uomo d’affari sulla soglia del matrimonio, si ritrova a inseguire il fantasma di un amore passato, Lisa (Monica Bellucci), attraverso una serie di coincidenze che lo portano a un appartamento carico di segreti e malintesi. A complicare ulteriormente il tutto c’è Alice (Romane Bohringer), che, con un’ambigua danza tra desiderio e manipolazione, riscrive la storia d’amore a suo favore. Il film è costruito con una serie di flashback e punti di vista alternati, in un continuo ribaltamento di prospettiva che se da un lato aggiunge fascino alla narrazione, dall’altro la rende a tratti artificiosa e volutamente ingarbugliata.

Mimouni gioca con il mito di Orfeo ed Euridice, trascinando il suo protagonista in una ricerca ossessiva che non lo porterà alla redenzione, ma solo a un’amara rivelazione finale. Lo stile registico è elegante ma fin troppo compiaciuto, con una fotografia smaltata di Thierry Arbogast che amplifica la sensazione di rarefazione e di artificiosità. Il film si sforza di essere un noir moderno, ma il suo eccessivo autocompiacimento rischia di soffocare la tensione narrativa.

Vincent Cassel è un perfetto antieroe romantico, ossessionato da una donna che forse non è mai esistita come la ricorda. Monica Bellucci, al suo esordio francese, emerge con naturale carisma nonostante non sia la vera protagonista della storia.
La chimica tra i due non è immediata: sul set, infatti, non mancarono screzi e malintesi, con Cassel che inizialmente si aspettava un’altra attrice e faticò ad accettare la Bellucci nel ruolo.
Un’ironia del destino, considerando che proprio questo film diede inizio alla loro intensa relazione nella vita reale, una storia d’amore che, tra passioni cinematografiche e matrimoni da copertina, avrebbe segnato il gossip internazionale per anni.

Se L’appartamento funziona, è perché, nel suo essere eccessivamente contorto e artificiale, rimane un’opera affascinante. Come un dipinto cubista, offre prospettive multiple sugli stessi eventi, costringendo lo spettatore a una partecipazione attiva.
I suoi difetti – la pretenziosità, il formalismo ossessivo, i personaggi che talvolta sembrano più pedine che persone – sono anche la sua forza. In fin dei conti, Mimouni ci regala un film che, pur non essendo un capolavoro, resta impresso nella memoria. E come ogni storia d’amore sbagliata ma intensa, è destinato a lasciare un segno, nel bene e nel male.

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Autore

  • Padovan Miriam nasce e decide di fare l’artista. Dopo un’infarinatura decisamente disomogenea, pensa di voler diventare una qualsiasi regista indie femminista ma il suo anno da fotografa per matrimoni le fa cambiare subito idea. Inizia a bingewatchare video di Barbero e scopre la sua vera passione: dare aria alla bocca. Approda al DAMS e, dopo essersi guadagnata la fama grazie al suo spaccio di appunti (secchiona e pure sottona), finisce per diventare redattrice di questa rivista.
    Il suo sogno sarebbe continuare a fare quello che fa adesso, ma da pagata: stare seduta sul proprio culo lamentandosi di come gli altri potrebbero fare meglio. Ha una terribile ironia ed i gusti artistici di una sedicenne: un’intellettuale wannabe che ha ancora troppo da imparare per avere un’opinione ma che, tra una cazzata e l’altra, a volte, ha ragione.


     

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