BIRD

Questa voce fa parte 9 di 26 nella serie N5 2025

NUOVE USCITE

Di Miriam Padovan

Con Bird (2024), Andrea Arnold torna in concorso a Cannes otto anni dopo American Honey (2016), firmando un’opera intensa e struggente che riesce a fondere brutalismo sociale e suggestioni fiabesche in un connubio miracoloso. La regista inglese, che nella sua carriera ha saputo destreggiarsi tra cinema e televisione di qualità (Transparent, Jill Soloway, 2014-2017; Big Little Lies, David E. Kelley, 2017-2019), continua la sua missione narrativa: raccontare l’umanità ai margini, quella dimenticata dalla società, con uno sguardo partecipe e profondamente empatico. 

In Bird ritroviamo gli elementi cardine del suo cinema: la periferia britannica, il disagio sociale, l’infanzia costretta a maturare troppo in fretta. Protagonista è Bailey (la sorprendente Nykiya Adams), una dodicenne  cresciuta in uno squat del nord del Kent insieme al fratello Hunter (Jason Buda) e al padre Bug (un meraviglioso Barry Keoghan), ragazzo-padre rimasto bambino, diviso tra tentativi di sopravvivenza illegale e una nuova relazione. In questo contesto di precarietà assoluta, dove la miseria sembra soffocare ogni aspirazione, Bailey trova una via di fuga nella sua passione per la natura: osserva, filma e proietta animali, simboli di libertà e purezza, lontani dal degrado umano che la circonda. L’incontro con Bird (Franz Rogowski), un misterioso uomo appollaiato sui tetti come un uccello, sposta il film in una dimensione altra, lambendo il realismo magico senza mai perdere il radicamento emotivo nel reale: Bird non è soltanto una presenza stralunata, è il catalizzatore di un percorso di crescita e scoperta, una figura aliena e salvifica che accompagna Bailey nel  difficile tragitto verso l’adolescenza. 

Arnold costruisce il film con il suo consueto stile immediato e viscerale: macchina a mano, luce naturale, attenzione spasmodica ai dettagli più piccoli e apparentemente insignificanti della quotidianità. Ma stavolta introduce anche nuove soluzioni formali, come l’uso delle riprese da smartphone, che rendono ancora più autentica la percezione del mondo attraverso gli occhi di Bailey. Una scelta narrativa moderna e potente, che avvicina Bird al cinema sperimentale contemporaneo, pur mantenendo salda la sua impronta autoriale. La dimensione fiabesca non edulcora il dolore, ma lo sublima, offrendogli una via di espressione poetica. Così, il volo di Bird e l’attrazione quasi magnetica che Bailey esercita sugli animali diventano metafore potenti di  una purezza che resiste alla contaminazione dell’ambiente. Una poetica dove la rappresentazione dell’universo animale diventa strumento di riflessione sull’essenza più autentica dell’essere umano.

Barry Keoghan, con la sua interpretazione tenera e sconclusionata di Bug, offre una delle performance più  intense della sua carriera, mentre Franz Rogowski, con la sua fisicità fuori dagli schemi, costruisce un Bird fragile e straordinariamente autentico. Il rovesciamento generazionale è evidente: i bambini, come Bailey, sono costretti a rimediare alle mancanze degli adulti, a diventare guide in un mondo in cui i padri e le madri si sono persi. L’arrivo del primo ciclo mestruale, il rapporto con Bird, il rifiuto di vestirsi in modo convenzionale per il matrimonio del padre: ogni episodio segna una tappa nell’emancipazione di Bailey, che attraversa il film come un piccolo rito di passaggio, delicato e potentissimo.

Il film non si limita a descrivere un contesto di disagio sociale: lo attraversa, lo vive, lo abita, senza mai  cadere nel pietismo o nella denuncia sterile. Come un Truffaut in versione contemporanea o un Ken Loach  che si permette di sognare, Andrea Arnold riesce a raccontare la durezza della vita senza perdere la speranza. In questo senso, il finale – un’esplosione di vitalità, musica e danza – suggella il messaggio del film: non c’è salvezza garantita, ma c’è sempre la possibilità di un nuovo volo. 

Bird conferma Andrea Arnold come una delle voci più autentiche e necessarie del cinema contemporaneo.  Con la sua miscela di realismo sociale, poesia visiva e struggente dolcezza, Bird vola alto, regalandoci un’esperienza cinematografica rara, capace di toccare corde profonde e di lasciare un’impronta duratura. Un film che, come il suo protagonista, prova e riprova a decollare, inciampando, cadendo, ma trovando sempre il coraggio di rialzarsi. E, nel farlo, ci ricorda che, anche nel fango della quotidianità più brutale, può ancora nascere la speranza.

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Autore

  • Padovan Miriam nasce e decide di fare l’artista. Dopo un’infarinatura decisamente disomogenea, pensa di voler diventare una qualsiasi regista indie femminista ma il suo anno da fotografa per matrimoni le fa cambiare subito idea. Inizia a bingewatchare video di Barbero e scopre la sua vera passione: dare aria alla bocca. Approda al DAMS e, dopo essersi guadagnata la fama grazie al suo spaccio di appunti (secchiona e pure sottona), finisce per diventare redattrice di questa rivista.
    Il suo sogno sarebbe continuare a fare quello che fa adesso, ma da pagata: stare seduta sul proprio culo lamentandosi di come gli altri potrebbero fare meglio. Ha una terribile ironia ed i gusti artistici di una sedicenne: un’intellettuale wannabe che ha ancora troppo da imparare per avere un’opinione ma che, tra una cazzata e l’altra, a volte, ha ragione.


     

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