MICKEY 17
Di Sara Pellacani

Dissacrante, grottesco e confusionario. Questo è Mickey 17, l’ottava pellicola (nelle sale dal 6 marzo) del regista premio Oscar coreano Bong Joon-ho, che ritorna al cinema dopo sei anni dall’uscita di Parasite (기생충 / Gisaenchung, 2019), Oscar al Miglior film nel 2020. Il regista ritorna sul filone fantascientifico e basa il film sul libro Mickey7 (2022) di Edward Ashton. La pellicola, ambientata in un futuro distopico – anche se, vedendolo, così distopico non sembra – si apre in medias res con Mickey (Robert Pattinson) che è già stato riclonato per la diciassettesima volta e che in prima persona ci narra come sia arrivato a svolgere il mestiere di “sacrificabile”, che consiste nel morire sacrificandosi come cavia umana per poi essere rigenerato e ricopiato. Questo compito è fondamentale nella spedizione di colonizzazione del pianeta Niflheim capitanata da Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), politico cialtrone e ipocrita affiancato da sua moglie Ylfa (Toni Collette). La vicenda però si complica quando Mickey 17, ormai dato per morto dopo una grave caduta, viene ristampato nel clone Mickey 18, una sua copia cattiva e sfrontata. I due quindi si ritrovano ad essere “multipli”, una condizione severamente vietata dalla legge e punita con la morte di entrambi i cloni. Nella pellicola ritroviamo temi cardine del cinema di Bong Joon-ho (basti pensare a Parasite oppure a Snowpiercer [설국열차 / Seolgug-yeolcha, 2013], per rimanere nel genere sci-fi), come la lotta tra classi sociali ed i ricchi che sfruttano i poveri, dove ognuno è utile ma nessuno è indispensabile.

Il film, infatti, offre grandi spunti di riflessione per lo spettatore, che si trova davanti ad uno spettacolo catastrofico caratterizzato da un umorismo grottesco, tagliente e satirico dove è impossibile non riconoscere elementi della nostra attualità. Un esempio su tutti è il personaggio di Kenneth Marshall, interpretato da Ruffalo in maniera volutamente caricaturale e che ricorda spaventosamente, soprattutto nei manierismi, due delle persone più discusse nell’ultimo periodo (forse Elon Musk e Donald Trump).

Gli intenti del regista sono chiari e nonostante impacchetti un film ben fatto, la narrazione della pellicola si perde un po’, finendo per non approfondire alcuni aspetti interessanti come il tema del doppio, che è portato avanti solo per fini narrativi ed è trattato con superficialità, oppure il tema della prevaricazione dell’uomo verso il prossimo. Inoltre, vengono presentate diverse sottotrame, come quella della continua minaccia dello strozzino a cui Mickey e Timo (miglior amico di Mickey interpretato da Steven Yeun) devono una grossa somma di denaro e che è la causa della loro partenza alla volta di Niflheim. Bong Joon-ho sembra quindi mettere troppa carne alla brace, introducendo spunti interessanti ma finendo poi per non realizzarli appieno. Nemmeno la storia d’amore tra Mickey e Nasha (Naomi Ackie) è convincente, risultando quasi forzata e con poca chimica e riproponendo sempre il solito schema del ragazzo timido e submissive in relazione alla donna risoluta e che lo porta spesso fuori dai guai.
Nota positiva però è l’interpretazione di Pattinson, che convince nel ruolo del confuso e impacciato Mickey Barnes, sempre in balia degli eventi e che a causa del suo lavoro risulta quasi essere alienato dalla realtà che lo circonda. Inoltre, il protagonista dona una verve ironica al personaggio attraverso una comicità legata al suo corpo, che all’interno della pellicola è continuamente contorto e portato allo stremo.

Anche Toni Collette si riconferma con il personaggio di Ylfa, regalando una buona performance e incarnando perfettamente una donna opportunista e non curante della vita altrui. Il film quindi, seppure sia valido, non riesce a convincere appieno, portando ad un nulla di fatto; anche se apprezzabile dal punto di vista tecnico ed estetico, la pellicola non ha la stessa forza e lo stesso trasporto nel trattare le tematiche già ben consolidate nelle precedenti pellicole del regista.
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