N3 2025

27-99 : IL CINEMA CHE RIFLETTE SU SE STESSO

IL CAMERAMAN

Anche le scimmie possono essere registe!

Di Alessia Vannini

Il cameraman (The Cameraman, 1928), diretto da Edward Sedgwick e con protagonista Buster Keaton, è uno dei capolavori della carriera dell’attore e regista muto, ed è anche uno degli ultimi film di Keaton prima dell’avvento del sonoro. In questo film, Keaton interpreta un umile fotografo, che si sforza di diventare operatore cinematografico per conquistare il cuore di una ragazza. Il suo viaggio – in pieno stile keatoniano – è costantemente interrotto da una serie di disavventure che ruotano intorno al mondo del cinema e alla sua  complessità, ma anche alla sua magia. Con Il cameraman, Keaton non si limita a creare una commedia  slapstick, ma realizza una vera e propria riflessione metacinematografica sull’industria del cinema, sul suo  funzionamento e sui sogni di chi desidera farne parte.

Questa analisi è forse ancor più evidente in un film precedente di Keaton, La palla n° 13 (Sherlock Jr., 1924), un mediometraggio in cui un proiezionista (interpretato da Buster), diventa un detective in un film all’interno del film. Qui, Keaton esplora la natura stessa del cinema, mettendo in scena una realtà che si  trasforma e distorce attraverso il mezzo cinematografico, sfidando le percezioni del pubblico e utilizzando  trucchi visivi innovativi per dissolvere i confini tra la realtà e la finzione. Il mediometraggio è un gioco sul  potere del cinema di creare illusioni, che offre una riflessione sulla magia della settima arte. 

Il cameraman non si limita a raccontare la storia di un uomo che cerca di sfondare nel cinema, ma riflette sul cinema come medium e sul suo funzionamento. Il desiderio del protagonista di entrare nel mondo del  cinema rappresenta non solo la sua ricerca di successo professionale, ma anche un’aspirazione condivisa da molti lavoratori dell’epoca che vedevano l’industria cinematografica come un mondo magico e affascinante, la cosiddetta “fabbrica di sogni”.

Il protagonista, attraverso una serie di disavventure e malintesi, incarna il piccolo uomo che lotta per far parte di un sistema molto più grande di lui, un tema che è onnipresente nella produzione del grande Keaton. La sua determinazione a diventare cameraman diventa qualcosa di più grande, una metafora della lotta quotidiana per realizzare i propri sogni. Il film, pur essendo una commedia, esprime una profonda riflessione  sulla lotta contro il fallimento e la continua ricerca di un successo che sembra sfuggire. Il personaggio di Keaton, come al solito, incarna la figura del “perdente” che, pur frainteso e ostacolato, non smette mai di tentare. Il suo continuo tentativo di superare le difficoltà e di realizzare il suo sogno evidenzia la  determinazione e la resilienza, invitando tutti gli spettatori a continuare ad inseguire i propri sogni,  nonostante le difficoltà che possano presentarsi lungo il cammino.

Non scoraggiarti. Nessuno sarebbe arrivato a dei risultati se non ci avesse almeno provato.

Nel cuore della commedia slapstick, la figura della ragazza non è solo il premio da conquistare, ma diventa simbolo della realizzazione di sé e della lotta di Keaton per entrare a far parte di un mondo che sembra riservato solo a pochi eletti. Mentre il protagonista affronta una serie di disavventure, la figura femminile rimane costantemente al centro dei suoi sforzi: non tanto come un trofeo da vincere, quanto come una  rappresentazione di un sogno più grande, di un mondo che lo sfida e che deve essere conquistato. Ancora,  l’amore che Keaton cerca di conquistare non è solo quello della ragazza, ma l’approvazione di un mondo,  quello del cinema, che sembra rimanere sempre fuori dalla sua portata.

La cinepresa – sebbene forse non tanto quanto in L’uomo con la macchina da presa (Человек с  киноаппаратом / Čelovek s kinoapparatom, Dziga Vertov, 1929) – diventa quasi più protagonista dell’operatore di macchina stesso. Le gag che giocano con il funzionamento della macchina da presa non sono solo espressioni di comicità, ma riflessioni su come il cinema prenda forma. La scena in cui Keaton si trova a riprendere con una cinepresa rotta è un momento di grande potenza simbolica, in cui la macchina da presa diventa un oggetto tanto fondamentale quanto capriccioso, come se la cinepresa fosse quasi dotata di vita propria e “si divertisse” a fare dispetti all’operatore. Keaton, con la sua comicità fisica, mette in evidenza che il cinema non è solo una questione tecnica, ma anche di passione e istinto. Il contrasto tra la  macchina professionale e quella che Keaton è in grado di utilizzare sottolinea il divario tra il desiderio di  diventare cineasta e le difficoltà pratiche ed economiche che questo implica.

La commedia si sviluppa attraverso una serie di situazioni che mettono in discussione la relazione tra la realtà e la sua rappresentazione cinematografica. In particolare, la scena della scimmietta che riprende al posto di Keaton è un’ironia che riflette sul fatto che, a volte, nel cinema il successo dipenda da fattori esterni, fortuiti o casuali, piuttosto che dall’abilità… o forse Buster voleva semplicemente dirci che spesso alcuni primati sono molto più abili di certi registi umani.

Un altro momento che evidenzia l’effimero della pellicola è quando Keaton filma eventi straordinari, ma la pellicola viene smarrita, suggerendo quanto la ripresa cinematografica – specialmente nell’epoca dell’analogico – possa essere facilmente perduta o dimenticata. Il montaggio finale, in cui si rivela che la  scimmia ha salvato la pellicola, trasforma questa perdita in una meravigliosa riscoperta: il film diventa un  atto di magia, dove ciò che sembrava irrimediabilmente perso viene restituito grazie alla potenza del cinema. Il finale del film, con la proiezione del salvataggio della giovane ragazza da parte di Buster, è anche una dimostrazione della potenza di denuncia e di rappresentazione della realtà del cinema, capace di far aprire gli  occhi e rivelare la verità quando alcuni tentano di occultarla. 

Il film è una riflessione continua sul linguaggio cinematografico e sulle tecniche che lo rendono possibile.  Keaton, con la sua maestria nella gestione delle gag fisiche, ci offre un tributo al cinema come spettacolo puramente visivo. La sua capacità di creare comicità con il montaggio, l’uso dei piani sequenza e delle inquadrature complesse, enfatizza quanto il cinema sia il frutto di una meticolosa costruzione, capace di  evocare risate ed emozioni tramite il puro linguaggio delle immagini. Un esempio evidente di questo è la scena in cui Keaton riprende un evento pericoloso ma scopre che non ha premuto il tasto della cinepresa: una gag che non solo gioca con l’intrinseco errore umano, ma con il linguaggio cinematografico stesso, in cui il montaggio e la ripresa sono al centro del processo narrativo. 

Il cameraman non è solo una commedia di grande successo, ma un’opera metacinematografica che celebra  e al contempo prende in giro il mondo del cinema. Keaton, attraverso il personaggio di un uomo che tenta disperatamente di entrare nel mondo della cinematografia, ci mostra la fatica e la determinazione necessarie per entrare a far parte di questa industria estremamente selettiva. 

In conclusione, il film non si limita a narrare la storia di una persona comune che lotta per un sogno: diventa una riflessione sull’essenza stessa del cinema, un mezzo che crea magia attraverso l’illusione. Alla fine, Il cameraman ci insegna che, nonostante tutte le difficoltà, il cinema ha il potere di restituire, salvare e  trasformare. La metafora del cinema come sogno e aspirazione rimane universale, tanto oggi quanto ieri, e la  sua capacità di farci credere che, con determinazione, i nostri sogni possano essere realizzati è uno dei messaggi più potenti del film.
Il cameraman ci ricorda che, proprio come nel cinema, la vita è fatta di errori, fallimenti e illusioni, ma è esattamente in questi momenti che la vera magia si rivela. Non importa quanto arduo sia il cammino perché, come Keaton ed i più grandi cineasti ci insegnano, i sogni sono la nostra più grande forza, e il cinema è il luogo dove non c’è alcun freno alla fantasia.

Come il buon vecchio Walt Disney disse, i sogni sono desideri che abitano il nostro cuore e, anche se il mondo ci fa piangere, noi dobbiamo sempre continuare a sognare perché i sogni sono nostri, e niente è irrealizzabile.

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Comments

Una risposta a “N3 2025”

  1. Avatar Gianni
    Gianni

    che bel numero<3 l’articolo sull’abbigliamento scritto benissimo!!

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