C’È ANCORA DOMANI
Un potente affresco della società italiana del dopoguerra che è ancora drammaticamente attuale
Di Alessia Vannini
Se Paola Cortellesi aveva dato già ampia dimostrazione di essere un’attrice straordinaria, con C’è ancora domani (2023) ci ha dimostrato quanto possa essere altrettanto straordinaria anche nei panni di regista. C’è ancora domani è un film che valorizza le Donne, che porta sullo schermo la nostra storia denunciando gli orrori del passato, e culmina con uno dei momenti più importanti della storia italiana: il 2 e il 3 giugno 1946, i giorni del referendum nazionale attraverso il quale gli italiani furono invitati a scegliere tra monarchia e repubblica, nonché la prima volta che anche le Donne poterono votare.

Il film è girato completamente in bianco e nero, scelta motivata dalla Cortellesi sia come omaggio ai film italiani neorealisti del periodo post-bellico, sia per il fatto che, ascoltando i racconti delle sue nonne – dalle cui storie questo film prende ispirazione – lei se l’immaginava sempre in bianco e nero: perché “Quando si ricordano le immagini del passato a Roma, non sono mai a colori”. Tra le scelte peculiari messe in atto in questo film c’è anche quella della musica: la storia, sebbene ambientata negli anni Quaranta, è infatti associata a canzoni più moderne, come La sera dei miracoli (1980) di Lucio Dalla.
Il film è definibile come un mélange tra commedia e dramma, pur con coraggiose contaminazioni di musical, cinema neorealista e, a un certo punto, virando quasi verso il crime-noir. Il film sa quindi destreggiarsi tra comico e tragico, rievocando il “neorealismo rosa” (o “commedia all’italiana”) in tutti i suoi personaggi, nelle ambientazioni e negli aspetti socioculturali.

La storia è ambientata nella Roma del maggio 1946, in un’Italia devastata dalla Seconda guerra mondiale e ancora occupata dagli Alleati militari americani. Delia (Cortellesi), la protagonista, è sposata con Ivano (Valerio Mastandrea), un marito brutale e violento dal quale viene quotidianamente picchiata e degradata. La coppia ha tre figli: la figlia maggiore Marcella (Romana Maggiora Vergano), che sta per fidanzarsi, disprezza la madre per la passività con cui si sottopone agli abusi del marito.
La giornata di Delia si divide tra le faccende domestiche e vari lavoretti poco remunerativi. Emblematica, a tal proposito, è la scena in cui Delia scopre che un giovane ragazzo suo collega, pur essendo un semplice apprendista (ed anche incapace nel suo lavoro), riceve una paga più alta di lei per il semplice fatto di essere un uomo. Ecco come, in pochi minuti di proiezione, la Cortellesi riesce a restituirci un affresco della società italiana del secondo dopoguerra: patriarcale e sessista.
Pur affrontando i problemi della violenza e dell’abuso, l’attento lavoro di regia non li mostra mai nel loro crudo realismo. La capacità della Cortellesi sta infatti nella maestria con la quale crea delle mise-en-scène enfatiche, che si mescolano in modo parossistico con le scene di vita quotidiana. Mettendo in scena i momenti di violenza domestica, Paola attribuisce agli abusi un tono diffamatorio ma, al contempo, non lascia da parte l’ironia che la contraddistingue.

Ella enfatizza la quotidianità di Delia, facendola sembrare quasi epica. Per esempio, emblematici sono i momenti in cui il marito picchia la moglie: parte la musica e i due ingaggiano un ballo-lotta, tra un passo di danza e l’altro. Per quanto possa sembrare impensabile che nel bel mezzo di una lite coniugale parta la musica e i due si cimentino in un duello danzante, ancor più assurda è l’azione dell’abuso stessa, perché la violenza deliberata va oltre ogni possibile giustificazione.
C’è ancora domani non è solo un film storico e sociale, ma anche un film sull’amicizia. Infatti, pressoché l’unica fonte di sollievo nella vita di Delia è l’amicizia con Marisa (Emanuela Fanelli), fruttivendola spiritosa e ottimista che, a differenza di Delia, ha un matrimonio sano con un marito amorevole. Il profondo sentimento di amicizia tra le due Donne è potente ed evidente in diversi momenti del film.

Ad alleviare la terribile situazione matrimoniale di Delia c’è anche il meccanico Nino (Vinicio Marchioni), con il quale aveva avuto una storia d’amore passata ma che non si era mai trasformata in una proposta di matrimonio. Quando Nino propone a Delia di fuggire con lui verso il Nord per avere migliori opportunità di lavoro e una vita migliore, lei declina l’offerta, pensando che non può lasciare la sua famiglia e che per lei non ci sia più possibilità di redenzione.

Il film è anche un ritratto di quanto il sentimento di amicizia possa unire due persone, indipendentemente dalle barriere che le dividono. Infatti, un giorno Delia restituisce una foto di famiglia trovata per caso al soldato afroamericano William (Yonv Joseph), che l’aveva persa. Lui la ringrazia e, dopo altri fortuiti incontri – durante i quali lui le parla solo in inglese e lei solo in italiano e quindi si capiscono a stenti – William nota i lividi sul corpo di Delia e percepisce che c’è un problema. Il rapporto che si instaura tra i due è l’esempio perfetto di quanto, indipendentemente dalla barriera linguistica che li separa, l’amicizia possa andare oltre questo ostacolo perché, nella maggior parte dei casi, le azioni valgono più delle parole.
Il film restituisce anche una straordinaria rappresentazione di un amore adolescenziale ingenuo. Marcella, figlia di Delia, sta organizzando il matrimonio con Giulio Moretti (Francesco Centorame) – il giovane discendente di una ricca famiglia, proprietaria di un bar della zona – che a prima vista appare come l’esatto opposto di Ivano: un ragazzo gentile e premuroso. Nonostante l’esito imbarazzante del pranzo a casa di Delia con i probabili futuri suoceri, Giulio e Marcella si fidanzano ufficialmente. Delia, però, si rende ben presto conto che il fidanzato di sua figlia ha gli stessi atteggiamenti possessivi e violenti del marito e teme che Marcella possa andare incontro ad un destino simile al suo. Con l’aiuto del soldato William, fa saltare in aria il bar del futuro genero, provocando la miseria della sua famiglia e causando indirettamente anche lo scioglimento del fidanzamento.
A questo punto, la donna sembra determinata a scappare dal marito, prendendo il 2 giugno come data fatidica. Il giorno stabilito, elabora uno stratagemma per fuggire senza destare sospetti, ma la morte improvvisa del suocero (Giorgio Colangeli) e la veglia funebre che viene organizzata la obbligano a rimanere a casa tutto il giorno. La donna, tuttavia, non perde la speranza, ripromettendosi che “c’è ancora domani” per attuare il suo piano. La mattina seguente, Delia lascia a Marcella una busta con una lettera e il denaro risparmiato per permetterle di studiare (dato che suo marito sostiene che le figlie femmine non dovrebbero studiare e che il denaro dovrebbe essere risparmiato solo per l’istruzione dei figli maschi). Delia riesce quindi a dimostrare finalmente a sua figlia la sua capacità di prendere coscienza della sua situazione e di agire di conseguenza.
La sequenza finale è pura poesia: proprio quando tutti pensavamo che la donna sarebbe scappata per riunirsi al suo amante ed iniziare a vivere una vita degna di essere chiamata così, questa compie un atto di estremo altruismo. Invece di fuggire, si dirige alle urne per votare per la prima volta, così da dare a tutte le Donne italiane una possibilità di redenzione e speranza. Una particolarità di questa sequenza è la canzone A bocca chiusa (2013) di Daniele Silvestri, che si colloca a metà strada tra musica intradiegetica ed extradiegetica. Se inizialmente si potrebbe supporre che la melodia sia solo nella testa di Delia, poco dopo ci rendiamo conto che non è così. Come in un musical, tutte le persone intorno a lei si uniscono al coro: quando la donna si ritrova faccia a faccia con il marito, tutti cominciano a cantare come forma di ribellione contro l’oppressione che Ivano rappresenta. È una canzone fortemente simbolica ed emblematica in un tale momento perché, come dice il titolo stesso della canzone, tutti cantano a bocca chiusa, a dimostrare che, spesso, espressioni e gesti valgono più di mille parole.

Quando Delia è all’interno del seggio elettorale, si sente un uomo annunciare che è necessario che le Donne rimuovano il rossetto prima di sigillare la busta, perché qualsiasi traccia di trucco potrebbe invalidare il voto. Di conseguenza, tutte le Donne che si stanno preparando a sigillare la loro busta rimuovono il loro rossetto, con un gesto che è molto più che una semplice adesione alle regole di voto. Questo gesto simbolico punta ancora una volta a sottolineare la rinuncia di una parte di sé in favore di un bene più grande. Le Donne compiono questa azione nella speranza che possa apportare un cambiamento in meglio per tutte loro.
Loro votano perché hanno finalmente l’opportunità di farlo. Votano perché migliaia e migliaia di Donne prima di loro hanno combattuto e si sono sacrificate perché venisse loro riconosciuto questo diritto. Votano perché votare è, oltre che un diritto, anche un dovere morale: è un’azione che richiede pochissimo sforzo ma che ha la capacità di cambiare la vita di tante persone, di un intero paese, del mondo intero. Se siete abbastanza fortunati da avere il diritto di voto, andate a votare, ma fatelo coscienziosamente.
Purtroppo, il film descrive accuratamente una condizione che colpisce tutt’oggi molte Donne in tutto il mondo. La strada per le pari opportunità è una storia che stiamo ancora scrivendo. Tornare a quel 2 giugno 1946 è fondamentale perché rappresenta un punto di svolta inevitabile, che ha creato le condizioni per cui le Donne potessero effettivamente far sentire la propria voce e fare la differenza.

In ultima istanza, l’esordio alla regia di Paola Cortellesi sottolinea la crucialità della presa di coscienza di se stessi e l’importanza della scelta. Ci insegna a guardare al futuro con speranza perché non è mai troppo tardi, c’è ancora domani.
Lascia un commento