VOLVER – TORNARE
Di Sara Pellacani
Il culmine del melodramma di Pedro Almodóvar raggiunge l’apice con Volver – Tornare (Volver), pellicola del 2006 scritta e diretta dal regista spagnolo e presentata in concorso a Cannes.

La vicenda segue le storie delle donne della famiglia di Raimunda (Penélope Cruz) e Sole (Lola Dueñas), due sorelle orfane che hanno perso i genitori in un incendio e che hanno abbandonato la loro città natale della Mancia (regione spagnola da cui proviene il regista stesso) per trasferirsi a Madrid. Raimunda vive assieme alla figlia Paula (Yohana Cobo) e al compagno alcolizzato in un fatiscente appartamento e cerca di sbarcare il lunario facendo più lavori, mentre la sorella, ormai separata dall’ex marito, lavora come parrucchiera. La dura quotidianità delle due donne è però improvvisamente sconvolta prima da un violento omicidio e poi dall’improvvisa morte della zia Paula (Chus Lampreave), che porta le protagoniste a fare ritorno al loro paese d’origine della Mancia, dove vecchi segreti ritornano a galla e i fantasmi del passato riemergono dalla tomba, confondendo sia le protagoniste sia lo spettatore sul confine tra il reale e l’immaginazione. Infatti, Irene (Carmen Maura), la madre delle due donne, non è realmente morta e per quattro anni si è nascosta a casa della zia che pensava di vedere un fantasma.
Almodóvar presenta allo spettatore una storia corale di donne – come già aveva fatto in Donne sull’orlo di una crisi di nervi (Mujeres al borde de un ataque de nervios, 1988) e in Tutto su mia madre (Todo sobre mi madre, 1999) – dove da padrone la fa il dolore provato da un’intera generazione di figure femminili che con tenacia si sostengono l’un l’altra, facendo fronte ai drammi della vita. Il rapporto genitori-figli – in particolare madre-figlia – è un tema centrale del film, in quanto assistiamo a traumi generazionali che avvolgono l’intera storia di una famiglia costruita su segreti e drammi nascosti sotto il tappeto. Il mondo rappresentato da Almodóvar è un mondo fatto di tradizioni, credenze popolari e superstizioni delle zone rurali della Spagna, molto simile a quello presentato nelle scene dei flashback in Dolor y Gloria (2019). Basti pensare alla zia o all’amica di famiglia Agustina (Blanca Portillo), che credono di vedere lo spirito di Irene. Inoltre, a queste scene il regista conferisce un sapore onirico e grottesco che rende ancora più coinvolgente l’esperienza dello spettatore, il quale cerca di indagare nella vita di queste donne così diverse ma accomunate dallo stesso passato da cui cercano di scappare.

La sceneggiatura (vincitrice al festival di Cannes) riesce poi a commuovere, soprattutto nelle scene in cui Raimunda e sua madre parlano su una panchina dopo la sconcertante scoperta della protagonista che la madre è ancora viva e che, a seguito della morte della zia, si nasconde nell’appartamento di Sole. Attraverso il loro dialogo, le due donne creano quasi una sospensione nello spazio e nel tempo, cercando di guarire le ferite profonde del passato.
Tutte le protagoniste della vicenda, da Penélope Cruz a Carmen Maura, fanno un ottimo lavoro di interpretazione, restituendo un quadro perfetto dell’esperienza femminile e calibrando ogni singola espressione e sguardo, vincendo in seguito meritatamente il premio a Cannes per le migliori interpretazioni femminili.

A colpire, infine, è l’incredibile gamma di colori accesi ed accecanti della fotografia di José Luis Alcaine, visibili sia nel vestiario delle protagoniste sia negli interni delle case e che trasmettono allo spettatore la sensazione di trovarsi in un sogno lucido.
Volver – Tornare, quindi, parte dall’esperienza di queste forti figure femminili, fatta di segreti e rancori spazzati via dal forte vento della Mancia, per raccontare quella che è l’esperienza universale che lega ed accomuna diverse generazioni di donne.

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