COSTUMI
LA MODA SECONDO IL CINEMA
Gli anni Sessanta
Di Morgana Maria Mosconi
Il boom economico degli anni Sessanta comporta grandissimi sviluppi nel settore della Moda. Entra in scena una nuova tipologia produttiva orientata sempre di più verso un abbigliamento di diffusione popolare, il prêt-à-porter, letteralmente “pronto da indossare”. Si tratta del precursore del fast fashion odierno: gli abiti iniziano ad essere disegnati da uno stilista ma vengono poi confezionati in serie, quando prima venivano fatti su misura da sarti e modelliste, in modo che potessero essere di buona qualità ma comunque ad un prezzo ragionevole. Questo è il chiaro sintomo del graduale livellamento delle condizioni sociali e lo sviluppo della società dei consumi, con modelli standardizzati e taglie rese una semplice tabella. In questo modo assistiamo ad una moda sempre più democratica, mentre l’alta moda si discosta sempre più dal popolo diventando ancora più elitaria. Questa inizia a rappresentare per lo più uno spazio sperimentale e anche un mezzo pubblicitario; grazie alle varie campagne di abiti, che in pochi si sarebbero potuti permettere, uno stilista può affermarsi sul mercato. Il popolo, dopo il boom, può permettersi molti più vestiti, ed essendo questi meno costosi, indipendentemente dallo stile, si ricerca sempre più eleganza e raffinatezza, prima non raggiungibile se non si faceva parte di una classe sociale particolarmente agiata.
L’esempio più lampante del fenomeno è in Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany’s, Blake Edwards, 1961), che ha consacrato Audrey Hepburn come regina della moda e raffinatezza nei suoi anni. Quasi ogni costume del film è elaborato e creato da Hubert de Givenchy, stilista all’epoca agli esordi della sua brillante carriera che stabilisce un rapporto di amicizia con l’attrice, diventando il suo stilista di punta insieme ad Edith Head. Come poi la casa di moda Givenchy farà in seguito, i costumi di Hepburn stabiliscono quell’eleganza essenziale e semplice, con qualche punto forte nei gioielli. L’abito più iconico è il petite robe noir, il tubino nero in satin1 che l’attrice indossa all’inizio della pellicola e quando conosce Paul, interpretato da George Peppard. (Fig. 1) Un capo longilineo e classico dalle linee dritte e semplici, arricchito con accessori extra tra cui acconciature, perle e lunghi guanti neri. Ne esistono tre copie, una tenuta dalla casa di moda, una al Museo del Costume di Madrid e l’ultima data ad Audrey.
Di questo ne viene fatta un’altra versione ma più corta, con una cintura in vita e piume nell’orlo, che vediamo addosso all’attrice in altri momenti. (Fig.2)
Un look che guarda più alla moda popolare anni Sessanta, ma che rimane comunque elegante e raffinato, è il cappotto arancione doppiopetto2 in lana indossato con cappello in pelliccia. (Fig.3) Questo piacque così tanto all’attrice da chiederne diverse copie simili per i suoi successivi film, come Sciarada (Charade, Stanley Donen, 1963) e Come rubare un milione di dollari e vivere felici (How to Steal a Million, William Wyler, 1966).
Un altro esempio lo possiamo trovare in La dolce vita (Federico Fellini, 1960), uno dei film più “stilosi” nella storia del Cinema. Il regista stesso è stato ispirato dal sack dress creato dalla casa di moda spagnola Balenciaga. (Fig. 4) Introdotto nel 1957, questo vestito creò delle controversie perché radicalmente differente dalla classica silhouette a clessidra che aveva comandato qualsiasi aspetto estetico fino a quel tempo.
Velocemente si arriva ad un tipo completamente diverso di libertà negli abiti che donne e uomini avrebbero adottato di lì a poco. Fellini capì il grande significato di questa nuova libertà e la incorporò nella sua pellicola. Il suo modo di creare personaggi con stili di vita stravaganti e glamour per La dolce vita ha dato il posto di grande influenza del mondo della Moda, soprattutto quella Italiana (almeno agli occhi degli stranieri). I costumi nel film vengono curati da Piero Gherardi, e grazie a lui l’opera vince un Academy Award per il miglior costume design. Soprattutto per il vestiario maschile, Marcello Mastroianni diventa una fonte d’ispirazione, con gli abiti eleganti ma corti, sottili cravatte e gli iconici occhiali da sole. (Fig. 5)
Ma gli anni Sessanta hanno un altro lato molto più iconico. Sono gli anni della ribellione, con l’invenzione della minigonna di Mary Quant, i capelli corti come gli uomini ma sulle donne, le stampe optical3, abiti a trapezio4 coloratissimi e il bikini. Velocemente ricordiamo Stefania Sandrelli in Divorzio all’italiana (Pietro Germi, 1961), una delle prime attrici apparse sul grande schermo in bikini per come lo intendiamo oggi. (Fig. 6)
Contrapposti all’abbondanza economica e la ricerca di raffinatezza si pongono i giovani con la loro vita irrequieta e ribelle che, opponendosi alla società consumistica e ai valori imposti dalle generazioni precedenti, vogliono mostrare la loro libertà anche nel vestiario. L’esibizione di alcune parti del corpo femminile viene vista come liberazione e presa di posizione dalle donne; gambe e seno scoperti non vengono più percepiti come tabù da parte dei giovani. Verso la fine della decade abbiamo la nascita di un’importante corrente, quella hippy, con giovani dai capelli lunghi, jeans logori e stampe floreali, spesso a piedi scalzi. Diviene più avanti una tendenza mondiale, e anche le grandi catene iniziano a vendere questo tipo di abiti, cancellandone così il significato per trarre profitto e andando contro qualsiasi ideale facesse parte della corrente. Nel film Easy Rider – Libertà e paura (Easy Rider, Dennis Hopper, 1969) possiamo osservare un’iconica rappresentazione dello stile hippy e di come questo vada poi ad influenzare la Moda in generale. Wyatt, interpretato da Peter Fonda, non sembra propriamente appartenente alla sottocultura: porta i capelli corti e indossa abiti in pelle nera attillati, ma aggiunge una sensibilità psichedelica con magliette dalla stampa caleidoscopica e foulard5 dai motivi floreali. Al contempo il suo compagno di viaggio Billy, Dennis Hopper stesso, è completamente hippy: lo vediamo indossare bandane, capelli lunghi, una giacca a frange e una collana fatta di denti. È vestito completamente in marrone scamosciato6, contrastando la pelle nera di Fonda. (Fig. 7) Entrambi a loro modo indossano i loro stessi ideali: il primo in una visione moderna, con una bandiera americana dietro la giacca come se dicesse ironicamente di amare il paese opponendosi però al governo e al suo coinvolgimento nella guerra del Vietnam; il secondo lo fa in modo molto più ovvio, enfatizzando il rigetto del vestiario di massa venduto ai grandi magazzini e creando una propria individualità contro l’omologazione.
Il film non ha avuto un vero e proprio costumista. Fonda ha disegnato la giacca con la bandiera e l’ha indossata per anni anche dopo il film finché non si è distrutta, tenendone in seguito la toppa dietro la schiena e vendendola nel 2007 per quasi $90.000. Nell’anno precedente abbiamo un film figlio dell’interesse di quegli anni, ovvero lo spazio.
Il pubblico rimane affascinato da pianeti, razzi e tutto ciò che ne fa parte, visto il periodo di ferventi rivoluzioni tecnologiche e l’arrivo dell’uomo sulla luna. 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick, 1968) porta in scena dei costumi creati da Hardy Amies, che per un periodo fu stilista della regina d’Inghilterra Elisabetta II. Le tute del film hanno un impatto incredibile e funzionale con i loro tagli semplici e l’utilizzo dei colori primari. (Fig. 8)
I film di fantascienza hanno provato a prevedere gli abiti del futuro, ma siamo noi che ancora oggi ne prendiamo ispirazione: Issey Miyake ha più volte affermato di essersi ispirato ai costumi di questo film, conciliandosi bene con la semplicità degli antichi vestiti giapponesi e lo spirito sperimentale dello stilista. (Fig. 9)
Nei tardi anni Sessanta, con Gangster Story (Bonnie and Clyde, Arthur Penn, 1967), la moda viene influenzata particolarmente da Faye Dunaway, che con il suo abbigliamento caratterizzato da basco7, pullover8 aderente e gonna longuette9 porta alla ribalta lo stile anni Trenta (Fig. 10) precedendo Il grande Gatsby (The Great Gatsby, Jack Clayton, 1974), che riporterà invece in voga lo stile anni Venti con i completi realizzati dallo stilista Ralph Lauren per Robert Redford e i costumi disegnati da Th. Aldridge per Mia Farrow, che vinsero un Premio Oscar. (Fig. 11) Questi a loro volta precedono l’andamento della Moda contemporanea, a dimostrazione di come sia un processo ciclico destinato a guardare sempre o in avanti o indietro.
1 Tessuto di cotone rasato, simile alla seta per la lucentezza.
2 Giacca con due petti soprammessi e due file di bottoni.
3 Stampa su tessuto che prende ispirazione dal mondo digitale, prevalentemente in bianco e nero, che ha un effetto quasi tridimensionale.
4 Abito ridotto all’essenziale senza punto vita accentuato, quindi con linee completamente dritte.
5 Fazzoletto di seta da collo e da testa.
6 Tessuto fatto in qualsiasi tipo di pelle che ha una superficie vellutata simile a quella della pelle di camoscio.
7 Cappello di panno sfornito di falde e visiere.
8 Indumento di maglia, con maniche lunghe o senza maniche, con scollo a V o a girocollo, che si porta sulla camicia.
9 Gonna con lunghezza fino all’altezza del polpaccio.
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