FIL ROUGE: HALLOWEEN
Di Sara Pellacani
Uno degli horror più inquietanti dell’ultimo ventennio è Sinister, diretto da Scott Derrickson (che di recente abbiamo visto alla regia di Black Phone 2) e uscito nelle sale nel 2012.
La premessa è semplice: Ellison Oswalt (Ethan Hawke, anche protagonista della recente saga di Black Phone, sempre diretta da Derrickson), scrittore di libri gialli, si trasferisce insieme alla sua famiglia nei sobborghi di una cittadina in Pennsylvania, in cerca dell’ispirazione per scrivere il suo nuovo romanzo. Quello che il resto della famiglia, eccezion fatta per Ellison, non sa è che solo un anno prima la famiglia che abitava la casa è stata brutalmente uccisa in circostanze ancora misteriose, ed Ellison, pur di riuscire a sfondare con il suo nuovo libro, decide di indagare sul terribile caso. A segnare un punto di svolta, però, è il ritrovamento in soffitta di un vecchio proiettore e di una serie di cassette contenente dei filmini Super 8 ritraenti la morte di diverse famiglie. Da qui tutta una serie di strani eventi che sconvolgeranno la famiglia Oswalt, la cui vita viene messa in pericolo dalla presenza di una sinistra entità.

Derrickson, attraverso un occhio che uccide, utilizza abilmente l’espediente dei filmati Super 8, riprendendo il filone del found footage che ha scosso il cinema horror di inizio anni Duemila e portando così il demonio dritto nelle apparentemente tranquille esistenze della middle class americana. È il nucleo familiare, infatti, il punto di partenza di Sinister, che vede l’entità malefica insediarsi nel membro più giovane della famiglia, simbolo di innocenza; proprio per questo la pellicola riesce a terrificare ulteriormente lo spettatore. È infatti nel buio della casa che si cela Bughuul, entità babilonese su cui Ellison comincia ad indagare, scoprendo tutta una serie di simbologie pagane lasciate dal demone sui luoghi del delitto. Derrickson non si risparmia nemmeno sulla brutalità e sull’efferatezza degli omicidi che il personaggio di Ethan Hawke va via via scoprendo nel corso del film e a cui lo spettatore assiste, accompagnato dalla colonna sonora di Christopher Young, che aumenta la carica di tensione e inquietudine in modo non indifferente.
Inoltre, l’essenzialità della sceneggiatura di Derrickson e Christopher Robert Cargill (che ebbe l’idea del film a seguito di un incubo avuto dopo aver visto il The Ring di Gore Verbinski del 2002) risulta efficace, arrivando dritto al punto e non lasciando nulla al caso. Tutti gli elementi che compongono la pellicola sono ben calibrati e studiati; anche le luci e le ambientazioni influiscono nell’impatto sullo spettatore, che non può evitare di sentirsi nell’oscurità dello studio di Ethan Hawke, la cui unica luce proviene dal vecchio proiettore ritrovato in soffitta.

È così, quindi, che uno spazio sicuro – come dovrebbe essere una casa – diventa teatro di un vero e proprio incubo, entro cui dilaga il maligno e da cui non si riesce a trovare riparo.
In Sinister ritroviamo poi quello che è il germe di uno dei temi più rappresentati da Derrickson, ossia quello dell’innocenza rubata ai bambini, che molto spesso sono le vittime delle sue storie. Sempre bambini sono i protagonisti della seconda pellicola di Sinister, diretta non più da Scott Derrickson ma da Ciarán Foy, il quale, malgrado provi a raggiungere il livello del primo film, purtroppo non riesce nel tentativo, in quanto tutti gli elementi di forza del film di Derrickson (come la colonna sonora) in quello di Foy risultano carenti ed approssimativi. Sinister rimane quindi uno dei capisaldi dell’horror degli ultimi anni, che guida ed accompagna lo spettatore nell’antica rete di terrore tessuta dal maligno.


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