MUTO
L’inizio del gangster-movie e del “regista carnevale”
Di Edoardo Sampaoli
“The city is yours”, cita un cartello per le strade di Chicago sotto gli occhi di “Bull” Weed. Ricorda qualcosa? Forse si, il film uscito cinque anni dopo, Scarface (Howard Hawks, 1932). Ma Le notti di Chicago (Underworld, Josef von Sternberg, 1927) non si ferma a questo: Sternberg fonda un archetipo del genere, istituzionalizzando la maggior parte degli stilemi ancora oggi presenti, rendendolo il primo vero film gangster della storia per completezza.Non a caso, di lì a poco per la Paramount uscirono The Racket (Lewis Milestone, 1928) e Ladies of the Mob (William A. Wellman, 1928); per la Warner Bros, State Street Sadie (Archie Mayo, 1928) e Lights of New York (Bryan Foy, 1928); per la Fox, Mondo senza luce (Me, Gangster, Raoul Walsh, 1928).

“Bull” Weed (George Bancroft), boss criminale, dopo un colpo in banca viene visto da “Rolls Royce” Wensel (Clive Brook), ex avvocato caduto nell’alcolismo. Bull lo prende con sé e insieme diventano partner. Rolls Royce è la mente e Bull la mano. Tutto procede al meglio, finché Rolls non si innamora della donna di Bull, “Feathers” McCoy (Evelyn Brent).
Soggetto vagante di Ben Hecht (cronista) a Hollywood, dopo l’abbandono del progetto del primo regista, Richard Rosson, tutto passa a Josef von Sternberg. Dopo un primo film indipendente da lui scritto, montato, diretto e prodotto (The Salvation Hunters, 1925), Sternberg approda alla Paramount come aiuto regista. Le notti di Chicago sarà la sua prima occasione con la casa, diventando poi anche uno dei suoi maggiori successi al botteghino. Le notti di Chicago si presenta come un film in oscillamento costante tra il melodramma e il gangster e questo rappresenta già una costante di tutto il cinema del viennese: da una parte la sua poetica personale fortemente barocca e caricata, dall’altra le esigenze di un’industria colossal come Hollywood.
Questo oscillamento, che rimane comunque armonioso in tutta la pellicola senza eccessi di una parte sull’altra, va per contrasto registico, prendendo per esempio in analisi la prima sequenza del film e un’altra successiva all’incirca mezz’ora dall’inizio.
È notte, dettaglio di un orologio in sovraimpressione su un grattacielo. Un’automobile nera in sosta vista dall’alto. Dall’angolo di una strada appare un uomo che barcolla, ubriaco: è Rolls Royce.
Un’esplosione dall’edificio alle sue spalle. L’uomo barcolla e si gira. Dalle porte esce un uomo minaccioso con una valigia sotto il braccio. Rolls gli sorride e fa un inchino, affermando, “Il grande Bull Weed, che chiude un altro conto in banca.” In risposta, questi lo afferra e lo caccia in macchina, che parte a tutta velocità. Arrivano alcuni poliziotti che iniziano a sparare. L’auto gira l’angolo, scampando. I centralini girano le chiamate alle unità. Un poliziotto dirige l’uscita delle macchine della polizia dalla centrale.

Sequenza della durata di settanta secondi, che mostra le capacità innanzitutto di istituire un montaggio “classico” nel cinema del genere che verrà, ma soprattutto l’astuzia di Sternberg nel distogliere l’attenzione dei produttori da un cinema, il suo, dal ritmo inverso, dove le scene vengono dilatate.
Bull è uscito. Rolls, in piedi, e la donna del boss, Feathers, seduta su una poltrona, si guardano. Rolls le offre e accende una sigaretta, per poi sedersi sul divano. Lei, intenta a sedurlo, gli fa qualche domanda. Rolls chiude la conversazione affermando il suo disinteresse nelle donne. Lei tenta di colpirlo e suscitare la sua attenzione, alzandosi e prendendo un libro, per poi sedersi e iniziare a leggerlo.Rolls si alza e le gira il libro che lei, forse troppo presa dal farsi notare, non si è accorta di avere al contrario.
Sequenza della durata di due minuti, quasi il doppio della prima in analisi, e che mostra le priorità di Sternberg e l’ambivalenza dell’opera.
Ma l’ambivalenza sta anche nei personaggi, poiché possiamo individuarne due che possiamo definire uno hollywoodiano (di senso stretto alla costruzione di interesse più per la produzione) e l’altro sternberghiano (di senso alla costruzione di interesse più per Sternberg).
Attraverso George Bancroft, il suo Bulls stabilisce molti degli archetipi futuri del genere: è affetto da un gesto rituale (in questo caso piegare in due una moneta con la sua forza); la sua contrapposizione con il partner, lui il braccio, il partner la mente; la sua debolezza per una donna; infine, la sua solitudine in quel finale, lui contro tutti.
Sternberg restituisce un personaggio in cui pubblico può individuarsi con facilità, creando un pattern che costituiva il segreto (ma non tanto segreto) per il successo del cinema di quegli anni.
Con Evelyn Brent, nei panni di “Feathers” McCoy, stabilisce l’archetipo futuro dei personaggi femminili del regista viennese: difatti, nel suo cinema cosparso di femme fatale possiamo considerarla la pioniera. Dalla sua apparizione mistica, che sembra anticipare le future iconiche apparizioni della sua personale musa Marlene Dietrich, a un fascino ambiguo, disincantata e disillusa, con un passato misterioso e dalle relazioni più per convenienza che per amore.
E intanto i bassifondi, locali e caffè, fumo e alcol, nelle strade immerse nel buio della notte; rapine, sparatorie, inseguimenti, per una nuova ricetta, perfettamente riuscita, di un genere nascente, consegnata alla Paramount.
Con l’aggiunta, poi, di sperimentazione della propria cifra stilistica, con feste tra gangster che esplodono nell’inquadratura per l’aggiunta di dettagli ed elementi che non lasciano spazio a un vuoto, che anticipa il barocchismo sternberghiano che si stabilizzerà a seguire (L’angelo azzurro, 1930; Shanghai Express, 1932; L’imperatrice Caterina, 1934; etc.).
Le notti di Chicago è un film che dosa sapientemente tutti gli elementi, creando un’opera sinuosa che affascina sotto ogni aspetto, dalla regia alla fotografia (curata da Bert Glennon); un film che resta nella storia del cinema, per il suo spirito pionieristico e per la personalità che sta dietro alla camera, un regista che ha saputo costantemente aggirare le catene di un sistema produttivo, portando comunque la sua poetica.
Il regista del carnevale ha appena iniziato, ed Hollywood non sa ancora cosa la aspetta.


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