TECNICA
Quando found footage e mockumentary creano un horror strabiliante
Di Sibilla Bissoni

Late Night with the Devil – In onda con il diavolo (Late Night with the Devil, 2023) è un film scritto e diretto da Cameron e Colin Cairnes, fratelli-registi australiani cultori di una tipologia di horror davvero originale.
Il lungometraggio tratta, in breve, del racconto di ascesa e declino di un late night show americano anni Settanta e del suo conduttore, Jack Delroy (un favoloso ed inquietante David Dastmalchian). Il programma televisivo porta il nome di “Night Owls” e promette di spaventare e stupire gli spettatori ad ogni costo.
Il presentatore, a seguito del grande lutto subito a causa della morte prematura per tumore dell’amata moglie, sembra perdere la testa (e di conseguenza la sua audience) ma, in pochissimo tempo, pare rimettersi in carreggiata, mettendo da parte la disperazione più che comprensibile per la perdita della compagna di vita e ritentando così il tutto e per tutto con un ritorno di fuoco in TV in un mega-speciale di “Night Owls”, durante la tenebrosa notte di Halloween.
La trama è già un insieme di spunti ed argomenti esplorabili in mille maniere diverse.
Late Night with the Devil cerca di andare a fondo nel suo significato, ma non lascia assolutamente da parte la tecnica, anzi, la rende un baluardo del senso ultimo della pellicola intera, utilizzando alcune tecniche ed escamotage per metaforizzare elementi cardine dei sottostesti della narrazione.
Found Footage e Mockumentary si fondono in una spirale di arrivismo, follia cieca e terrore.
L’intero film è posto sopra ad un’importante premessa: ciò che lo spettatore vede dovrebbe essere una puntata (quella, appunto, di Halloween di cui parlavo prima) persa e poi ritrovata del late show, reintegrata anche di clip dal dietro le quinte e maledetta per ciò che significa e per ciò che contiene. Da qui, un fantastico ed esteticamente ben amalgamato Found Footage che, in forma di finto documentario, ci illustra passo dopo passo l’andamento discendente della famosa puntata.
Questo viene preceduto da una voce narrante tipica dei programmi radio della seconda metà del Novecento, che spiega con grande premura tutta la backstory del protagonista prima di arrivare al punto saliente del film, la vera e propria puntata “posseduta” dal diavolo.
Come è possibile rendere credibile un tale agglomerato di tecniche visuali e narrative senza cadere nella confusione? I fratelli Cairnes diventano dei veri maestri in questo, e l’esempio è esattamente questo film.

Mi piacerebbe dividere il lungometraggio in tre atti da analizzare in questo articolo: il primo è la spiegazione tramite articoli di giornale, clip falsamente ritagliate da vari programmi TV scandalistici dell’epoca e materiali vari che fungono allo spettatore da trampolino di lancio per buttarsi nel centro del film; il secondo è l’intera puntata maledetta di Halloween, recuperata integralmente e arricchita dal dietro le quinte contemporaneo ad essa; il terzo è la rappresentazione della mattanza sovrannaturale finale, in una discesa perpetua e abbastanza veloce verso un inferno concettuale.
Il primo atto, che, se gestito peggio, poteva essere tranquillamente additato come il classico “spiegone”, diventa invece un interessantissimo esempio di montaggio puntuale ed esplicativo, gestito magistralmente in un minutaggio assai limitato, che ci permette però di inquadrare il protagonista e il contesto in cui lavora e in cui si forma come uomo. Si tratta di clip che si susseguono in modo assai dinamico, utilizzando anche differenti filtri e color correction, oltre che un alternarsi continuo di foto, inserti di scritte e video. In questa parte, riusciamo a seguire benissimo il tutto, anche grazie ad una voce narrante che lascia spazi importanti per guardare ciò che lo schermo propone, lasciando dire alle immagini ciò che non è davvero necessario dire a parole.
Il significato più profondo di questo primo atto è catapultare lo spettatore in quella che poi sarà la finta registrazione della famosa puntata. Il dinamismo estremo descritto prima fa parte del senso più ampio della pellicola: spiegare e criticare come il sensazionalismo dei media e la ricerca spasmodica e veloce della più grande celebrità diventino, per un uomo che desidera solo essere visto da tutti, un vero e proprio inferno, svelando come ogni possessione demoniaca o dialogo con fantasmi malefici siano assai meno terrificanti del desiderio malato di fama, a costo di vendere l’anima per averla.
Il secondo atto è tecnicamente il più accattivante e consiste nella proposta, da parte dei registi, di un’intera finta puntata di uno show della seconda serata degli Stati Uniti anni Settanta. Sono meravigliosi gli intermezzi della spalla comica del conduttore, con la classica piccola orchestra dello show, così come i numerosi ospiti che si susseguiranno.
Le clip del dietro le quinte cambiano formato e propongono invece un contrastato black and white che si alterna bene alla registrazione nel classico formato televisivo dell’epoca. L’utilizzo di queste diverse ed alternate tecniche visuali può essere pura scelta stilistica – molto tipica di un certo cinema indipendente di oggi – oppure può sempre significare la velocità con cui al tempo la televisione (ed Internet ed i social media oggi) ci abituava ad essere frastornati, sempre in balia di contenuti diversi, tutti colorati differentemente e montati in modo sempre più veloce.
Tutto questo nel film diviene un simbolo di alienazione dalla vera realtà. Il conduttore Delroy è un uomo che vive e lavora nella TV popolare americana, in un’epoca in cui quest’ultima era il mezzo di divertimento principale della popolazione di massa del mondo occidentale intero. Egli si fa abbindolare – proprio come abbindola lui stesso il suo pubblico – da tutte queste immagini che si susseguono all’infinito, non lasciando più spazio alla noia o alla calma, o ancora alle cose semplici ma autentiche, e vendendo così l’animo alla fama, al sensazionalismo e , quindi, al diavolo moderno.

Ed eccoci arrivati al terzo atto, il più crudele. Il presentatore dalla registrazione della puntata, che si sta facendo sempre più controversa, si trova letteralmente catapultato con tutti noi spettatori in strani flashback e visioni puramente allucinatorie. L’evento che è trauma fondante per la narrazione del personaggio di Delroy è la morte della moglie. Questo verrà esplorato in una maniera profonda ed onirica nel finale del film, che si distacca dalla narrazione a cui ci ha abitato fin qui, mollando il sensazionalismo da gossip televisivo e abbracciando uno stile il più evocativo possibile, spingendosi anche a toccare una specie di inedito ermetismo.
Late Night with the Devil è un film essenziale, a mio parere, per il finto documentario e found footage contemporanei, che troppo spesso scadono in prodotti banali o addirittura trash. Trattare questi generi con serietà, come in questo caso, può elevarli a film interessanti e ricchi di spunti, diversi dai classici film d’autore che continuano ad uscire in questi anni uno dopo l’altro; molti sono a dir poco meritevoli, ma semplicemente questa pellicola è diversa da quasi tutto quello che sta uscendo nella nostra epoca e varrebbe la pena elevarla maggiormente, guardarla e rifletterci sopra.
La morale, se così vogliamo chiamarla, che tratta è una delle più discusse ad oggi, ma i Cairnes riescono a svuotarla da ogni semplicismo e perbenismo, usando una storia “obsoleta” per raccontare un‘attualità disturbante. I due fratelli ci hanno regalato una vera chicca, che esplora l’horror superandone gli stereotipi, che mostra tramutandoli in inquinanti archetipi di demoni più moderni che mai.
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