MUTO
Di Dario Mhillaj



Terzo dei nove film muti diretti da Alfred Hitchcock, The Lodger: A Story of the London Fog (1927), meglio conosciuto in Italia con i nomi di Il Pensionante/L’Inquilino, è un giallo della durata di 91 minuti e girato in 35 mm. Tratto dal romanzo omonimo (1913) di Marie Belloc Lowndes, è il primo film di suspense di Hitchcock e il primo ad ottenere successo di critica e di pubblico.
Già ne Il pensionante, Hitchcock si avvale di quegli stratagemmi che poi ritroveremo con una certa costanza nel suo cinema, come la “caccia all’uomo”, la scelta dell’allora divo Ivor Novello, con il quale lavorerà anche nella realizzazione de Il declino (Downhill, 1927), per un ruolo che disattende le aspettative del pubblico. Daisy Bunting, interpretata da June Tripp, è il secondo della lunga lista di personaggi femminili biondi presenti nella filmografia di Hitchcock.
Una giovane donna è la settima vittima di un serial killer noto come “the Avenger”, che prende di mira donne bionde. Quella stessa notte, Daisy Bunting e le sue colleghe vengono a conoscenza dei fatti mentre si trovano ad una sfilata. Daisy torna a casa nella pensione dei genitori e poco dopo un giovane uomo si presenta per chiedere una stanza da affittare. L’uomo è riservato, tuttavia decide di pagare in anticipo una mensilità in cambio di cibo. Insospettita dagli strani comportamenti del nuovo inquilino e venendo svegliata nella notte dalla sua uscita dalla casa, la signora Bunting tenta di perquisire la sua stanza, senza trovare nulla. Il mattino dopo, un’altra ragazza viene trovata morta proprio dietro l’angolo; a questo punto i sospetti si fanno forti e Joe, poliziotto fidanzato di Daisy, facendosi forza anche della gelosia nei confronti del pensionante, che si stava avvicinando molto alla sua compagna, decide di fare irruzione in camera sua, dove trova delle mappe che indicano i luoghi degli omicidi. L’accusato si spiega dicendo che sua sorella è stata uccisa dall’assassino e che aveva promesso alla madre di riuscire a trovarlo. La voce si è sparsa e l’opinione pubblica ormai si fa sentire, tanto che una folla inizia a seguire il malcapitato, il quale poi, grazie allo stesso Joe, si rivelerà essere innocente.
Hitchcock considera questo il suo vero primo film, affermando in un’intervista con François Truffaut che qui ha messo in pratica ciò che aveva imparato in Germania dal cinema espressionista e rivelandogli che la sua intenzione fosse quella di mantenere una certa ambiguità riguardo l’innocenza del pensionante, ma che non potesse portare avanti questa idea vista la situazione produttiva: non si poteva far interpretare ad un divo il ruolo del cattivo, ed è quindi da qui che nasce una lunga serie di innocenti perseguitati. Éric Rohmer e Claude Chabrol scrivevano nel 1957: “la forma qui non abbellisce il contenuto, lo crea”. Il pensionante segna la nascita di un nuovo codice linguistico per quanto riguarda il thriller come lo intendiamo ancora oggi. La suspense è il centro nevralgico dell’opera. Audaci sono gli espedienti visivi, come il soffitto ‘trasparente’, che ci permette di osservare dal piano di sotto ciò che sta accadendo, oltre al montaggio serrato che poi ritroveremo in Psycho (1960), nella sua massima espressione con la scena della doccia. Esordio del MacGuffin, Hitchcock unisce quello che aveva appreso in Germania a un approccio rivoluzionario.

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