IL MEDIOEVO FASULLO DI HOLLYWOOD

Questa voce fa parte 32 di 34 nella serie N7 2025

APPROFONDIMENTI

Di Giovanni “Fusco” Pinotti

A sinistra, William Wallace interpretato da Mel Gibson in Braveheart – Cuore impavido; a destra, un’illustrazione del vero William Wallace.

Il cinema hollywoodiano ha reso universalmente riconoscibili e accettate, nel contesto dell’immaginario popolare, certe immagini che, indipendentemente dalla qualità superiore o inferiore del film specifico, molto spesso poco hanno a che vedere con la storia. Una delle epoche che più ha sofferto per colpa di queste mistificazioni, falsità e convenzioni cinematografiche è indubbiamente il Medioevo, il periodo storico che, per convenzione occidentale sempre più dibattuta, viene fatto cominciare con la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476) e finire con la scoperta dell’America (1492). 

Questo millennio di storia europea, come d’altronde qualsiasi altro periodo, fu ricco di complessità, varietà, contraddizioni e progressi che Hollywood – e, di conseguenza e per conformità industriale, il resto delle produzioni mondiali – tende ad uniformare in favore di un’immagine appiattita e banale di un’epoca così vivace e sfaccettata. D’altronde, molte e molti di voi avranno in mente un’immagine ben precisa del periodo medievale: secoli e secoli di epoche buie, oscurantismo scientifico, oppressione religiosa, credenze popolari, stasi tecnologica e guerre devastanti all’ordine del giorno, giusto? E a proposito di conflitti, immagino che tutte e tutti abbiate ben presenti le grandi e caotiche battaglie campali, con duelli all’arma bianca, travolgenti cariche di cavalleria e montagne di cadaveri. Tutte queste nozioni, fortemente esagerate quando non del tutto frutto di invenzioni prive di basi storiche, sono state e vengono tuttora rinforzate dal cinema popolare, in particolar modo da quello hollywoodiano, dove la spettacolarizzazione e la romanticizzazione eliminano qualsiasi intento di autenticità storica. 

Naturalmente, non possiedo le competenze adatte per impormi come una voce autorevole nell’ambito della ricostruzione storica, malgrado aver frequentato – prima di laurearmi al DAMS – la facoltà di Storia per tre anni; eppure, il cinema e la storia sono da sempre le mie due passioni più grandi, e penso sia interessante analizzare il modo in cui queste due realtà si rapportano tra di loro, la modalità cioè attraverso cui una sceglie di rappresentare l’altra. Ho sempre nutrito un profondo interesse nei confronti del Medioevo, in particolare della sua storia militare, e perciò ritengo possa essere stimolante offrire un’introduzione ai più grandi malintesi riguardanti un’epoca così affascinante propagati nella cultura popolare dal cinema hollywoodiano (e non). 

Ogni scusa è buona per fare i maestrini pignoli, insomma, ma con un certo criterio; il rapporto controverso tra verità storica e qualità cinematografica, infatti, è un tema vasto e complesso che in questa sede toccheremo soltanto in minima parte. Esistono, invero, opere dotate di una discreta autenticità storica ma che sono difettose dal punto di vista della narrazione cinematografica (Il nome della rosa [The Name of the Rose, Jean-Jacques Annaud, 1986], Outlaw King – Il re fuorilegge [Outlaw King – Il re fuorilegge, David Mackenzie, 2018]), altre dove quest’ultima è incredibilmente superiore rispetto alla ricostruzione degli eventi e del periodo (Braveheart – Cuore impavido [Braveheart, Mel Gibson, 1995], Le crociate – Kingdom of Heaven [Kingdom of Heaven, Ridley Scott, 2005]) e altre ancora, casi più unici che rari, in cui Medioevo e cinema si fondono per creare qualcosa di davvero speciale (Enrico V [Henry V, Laurence Olivier, 1944], Il settimo sigillo [Det sjunde inseglet, Ingmar Bergman, 1957] e La fontana della vergine [Jungfrukällan, Ingmar Bergman, 1960]). Ciò che mi interessa fare in questa sede non è tanto valutare quali film siano migliori o più fedeli alla storia rispetto ad altri (anche se, in conclusione, elencherò brevemente alcune pellicole a loro modo particolarmente meritevoli), ma cercare di far capire quanto il “Medioevo fasullo” hollywoodiano sia ancora oggi fortemente radicato nella cultura popolare. 

Brutti, sporchi e cattivi: vita quotidiana travisata

Una parte fondamentale della messa in scena di moltissimi film medievali consiste in un’atmosfera pressoché cupa e spenta: i colori sono sempre scuri o grigi, la gente comune – rigorosamente vestita di stracci – è tetra, lercia e diffidente e gli edifici fangosi hanno un aspetto lugubre e decadente, quando non crollano addirittura a pezzi. Insomma, il paesaggio medievale hollywoodiano è malsano e deprimente, un vero e proprio inferno in terra degno della – ormai ampiamente smentita – definizione di “epoca oscura”.

Questa rappresentazione ignora del tutto da una parte la varietà cromatica e dall’altra l’innata vivacità della società medievale: abiti, castelli, palazzi, dimore e cattedrali erano ricchi di colori accesi e decorazioni. La gente, dai nobili ai contadini, teneva particolarmente alla propria igiene personale, sia in quanto consapevole della sua importanza per contenere eventuali epidemie, sia per una dose di buonsenso che, a quanto pare, Hollywood non dà per scontata; alla gente –incredibilmente, lo so – non faceva molto piacere andare in giro sporca di fango o escrementi, né tantomeno vivere nella sporcizia o essere costantemente malinconica. Le città erano dotate di bagni pubblici accessibili anche ai poveri e chi se lo poteva permettere era dotato, all’interno della propria abitazione, di vasche di legno o bronzo; inoltre, processioni e feste erano una parte importante della vita medievale, così come i canti, i balli e, in generale, la musica, che conobbe un grande avanzamento – il liuto e l’organo conoscono il loro sviluppo in questi secoli, per esempio. 

Lungi dall’essere un letamaio a cielo aperto abitato da musoni vestiti di stracci, quindi, il panorama urbano medievale rispecchiava tutto il vivace intreccio sociale del periodo. 

Armature: ma a che servono?

Un altro stereotipo hollywoodiano in grado di far rabbrividire qualsiasi appassionato è quello delle armature, che il cinema vorrebbe rappresentare come dei pesantissimi mostri di scomodità e che, durante i combattimenti, ricoprono un’utilità davvero minima, in quanto vengono penetrate dal minimo colpo o dal più sottile proiettile. Uno spettatore minimamente attento, dunque, si potrà porre una più che legittima domanda: ma se sono così pesanti, scomode e bypassabili persino da un bastoncino, qual è il senso di indossarle? 

La verità, sorprendentemente, è ben diversa dalle fantasie delle produzioni cinematografiche. La corazza di un cavaliere, per esempio, era pensata per fornire un buon grado di agilità e manovrabilità a colui che la indossava. Il fatto che i pezzi dell’armatura fossero accuratamente disposti su tutto il corpo faceva sì che il loro peso venisse distribuito, in modo tale da non appesantire troppo il cavaliere, il quale era perfettamente in grado di montare da solo a cavallo, correre, arrampicarsi e così via. La debilitante scomodità e ridotta – quando non ridicolmente impossibile – manovrabilità, dunque, sono pure invenzioni che non avrebbero avuto alcun senso nella realtà, ma che nell’ambito del cinema, perlomeno, sono state in grado di regalare scene di indiscusso valore comico, come quella del tiranno Nicolaio nel capolavoro di Roberto Rossellini Francesco, giullare di Dio (1950), dove il feroce capitano di ventura interpretato da Aldo Fabrizi diventa pressoché prigioniero di una corazza gargantuesca. 

E che dire poi della penetrabilità? Non è affatto raro vedere spade o addirittura frecce farsi strada attraverso strati di armatura e maglia con la stessa facilità con cui un coltello taglia il burro. Non sarebbe molto più comodo, secondo la logica filmica, evitare il disturbo di indossare la protezione se questa risulta essere utile come una bistecca a un brunch vegano? 

In realtà, le armature medievali erano progettate proprio per evitare la penetrazione di oggetti a punta e per fare in modo che questi scivolassero addosso all’indossatore invece di colpirlo. La diffusione di armi contundenti in grado di ammaccare o addirittura spaccare le corazze rispondeva proprio alla scarsa efficacia delle armi da taglio, spesso del tutto incapaci di penetrare le difese personali di un nemico. Era proprio per questo motivo che i cavalieri in armatura completa erano così temuti sul campo di battaglia, soprattutto quando ad affrontarli erano avversari dotati di protezioni di qualità inferiore. 

Il caos delle battaglie: facciamo a chi arriva prima?

Due schieramenti opposti si trovano in un campo e iniziano a caricarsi a vicenda, correndo e urlando a squarciagola; una volta scontratisi, danno vita a una molteplice serie di schermaglie e duelli individuali. Il caos regna sovrano, i morti si accumulano a montagne, diventa impossibile distinguere i nemici dagli alleati e, come risoluzione finale, arriva la cavalleria al galoppo a travolgere i poveri fanti. Questa descrizione potrebbe riassumere pressoché la totalità delle battaglie medievali hollywoodiane e, come ormai immagino vi aspetterete, non potrebbe essere più lontana dalla realtà storica. 

Abbiamo visto che gli uomini e le donne del Medioevo erano umani proprio come noi, ed essendoci così simili condividevano con noi contemporanei un istinto, quello dell’autoconservazione, che non gli faceva andare tanto a genio l’idea di andare incontro a morte certa. Ora, non so voi, ma a me lanciarsi di corsa e per i fatti miei in mezzo a una valanga di nemici armati fino ai denti non sembra un buon modo per arrivare all’età pensionabile. Sorprendentemente per sceneggiatori e registi hollywoodiani, anche le persone nel Medioevo la pensavano come me. 

Restare in formazione, spesso in linea, durante una battaglia era fondamentale per garantire la propria sopravvivenza e la vittoria. Avere la certezza di essere accompagnati ai fianchi e alle spalle da commilitoni e preoccuparsi solamente dell’avversario davanti a sé sono prerogative logiche impossibili da garantire nelle caotiche battaglie hollywoodiane. La prima linea poteva poi essere sostituita dalle linee successive, garantendo un ricambio energetico. Paradossalmente, se vi immaginate uno scontro tra gli ultrà e la polizia avrete in mente una rappresentazione più realistica di uno scontro medievale rispetto alle fantasie della messinscena cinematografica. La situazione era indubbiamente caotica, certo, ma non si trattava certo di una rissa incomprensibile e individuale: rimanere compatti e in formazione aiutava i soldati a non sentirsi soli e a non venire soverchiati dalla paura che, naturalmente, insorgeva nel mezzo della battaglia.

Per non parlare, poi, di dettagli spiccatamente hollywoodiani che non hanno né capo né coda, come la diffusione pressoché universale delle spade: queste non erano così diffuse, soprattutto non come armi primarie, in quanto si trattava quasi principalmente di armi da fianco, mentre armi inastate come le lance e le picche erano di gran lunga più comuni, utilizzate e diffuse. Queste ultime garantivano un vantaggio tattico sia per i cavalieri sia per i fanti, eppure è davvero raro che le armi inastate godano della stessa diffusione di cui godono nella cultura popolare le spade. 

Sono molto diffusi anche altri dettagli filmici del tutto a-storici riguardanti le battaglie. Per esempio, la “sindrome del protagonista” impedisce categoricamente agli attori principali di indossare un elmo durante le scene di schermaglia, scelta contrattuale e d’immagine che non solo non ha senso, ma rivela il fraintendimento fondamentale del cinema rispetto alla guerra medievale: chi affronterebbe mai un campo di battaglia evitando di proteggere la parte più importante del proprio corpo? 

Considerazioni finali e alcuni consigli

Le caratteristiche del Medioevo fasullo creato da Hollywood che ho brevemente elencato non si limitano certo a questo articolo, ma penso di aver trasmesso l’idea di un periodo fortemente travisato e frainteso dal cinema. Questo, tuttavia, non significa che non esistano opere, più o meno precise dal punto di vista storico, che mettano in scena storie di estrema qualità, dal valore artistico e culturale, insomma, prevalente rispetto alla ricostruzione. Proprio per questo, propongo un breve elenco di alcuni dei miei film preferiti ad ambientazione medievale: 

  • Il mestiere delle armi, Ermanno Olmi, 2001: pur tecnicamente ambientato nel Rinascimento, il film, che vede come protagonista il leggendario capitano di ventura Giovanni delle Bande Nere, è uno straordinario ritratto storico e mette in scena una delle battaglie più realistiche mai offerte dal cinema. 
  • Le crociate – Kingdom of Heaven (Kingdom of Heaven), Ridley Scott, 2005: uno dei più bei capolavori di Scott, un colossal hollywoodiano dalla messinscena elegante e strepitosa e forte di una riflessione profondamente umana e politica sul ruolo della religione. Mi raccomando, rigorosamente la versione Director’s Cut!
  • Enrico V (Henry V), Laurence Olivier, 1944: esordio alla regia del leggendario Olivier, una grandissima opera sostenuta da un Technicolor meraviglioso che dona vita e dettagli strepitosi agli abiti e alle armature. 
  • Aleksandr Nevskij (Александр Невский), Sergej M. Ėjzenštejn, 1938: l’ennesima prova della sovrumana maestria di Ėjzenštejn nella coordinazione (quasi da stratega militare) delle grandi masse, per una ricostruzione storica notevole che riuscì ad anticipare l’invasione nazista. 
  • La passione di Giovanna d’Arco (La passion de Jeanne d’Arc), Carl Theodor Dreyer, 1928: uno dei più grandi capolavori della storia del cinema e un ritratto immortale di una delle figure più famose e leggendarie dell’epoca medievale. 
  • Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet), Ingmar Bergman, 1957: forse il film più noto del Maestro svedese, un fantasy ad ambientazione medievale che non esita a sfruttare il proprio sfondo storico per affrontare tematiche religiose ed esistenzialiste. 
  • La fontana della vergine (Jungfrukällan), Ingmar Bergman, 1960: tratto da una leggenda medievale svedese, ennesimo capolavoro di Bergman.
  • Aguirre, furore di Dio (Aguirre, der Zorn Gottes), Werner Herzog, 1972: di nuovo, baro inserendo un film “cronologicamente” rinascimentale, ma la folle spedizione del conquistador Aguirre non poteva mancare in questa lista. 
  • Valhalla Rising – Regno di sangue (Valhalla Rising), Nicolas Winding Refn, 2009: una delle rappresentazioni più originali e meno stereotipate dell’epoca vichinga. 
  • The Last Duel, Ridley Scott, 2021: per ora l’ultimo grande film di Scott, una storia straordinaria che narra la storia di uno degli ultimi combattimenti giudiziari. 
  • Ran () Akira Kurosawa, 1985: ci siamo concentrati soltanto sul Medioevo europeo, ma è impossibile trascurare uno dei più grandi capolavori di Kurosawa, il quale dona una delle più meravigliose interpretazioni della tragedia shakespeariana. 
  • Monty Python e il Sacro Graal (Monty Python and the Holy Grail), Terry Gilliam e Terry Jones, 1975: una delle migliori commedie di sempre, nonché sorprendentemente precisa per certi dettagli storici (sia lode eterna al retroterra culturale dei Monty Python). 
  • L’armata Brancaleone, Mario Monicelli, 1966: altra commedia esilarante ormai diventata oggetto di culto, anche grazie alla sua parodia di certi elementi della società medievale. 
Navigazione serie<< THE TESTAMENT OF ANN LEEBACHECA STUDENTI N7 2025 >>

Autore

  • Tanto tempo fa (il 1998), in una galassia lontana, lontana (la Lombardia), nasceva Giovanni “Fusco” Pinotti, detentore dell’onore e dell’onere di essere co-direttore e caporedattore della rivista Le Voyage Dams la Lune. Tra le sue passioni cinematografiche figurano il western, la fantascienza, l’horror gotico, il tridente Leone-Eastwood-Morricone, Akira Kurosawa ed Elio Petri. Quando non scrive o parla di settima arte, è impegnato ad ammorbare i suoi conoscenti con filippiche marxiste o a giocare con il suo cane Ben.

Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *