COME IL BARBENHEIMER HA CONQUISTATO IL MONDO

Questa voce fa parte 30 di 32 nella serie N1 2025

APPROFONDIMENTI

Fenomenologia di un evento

Di Miriam Padovan

Nel mondo del cinema, ci sono eventi che si iscrivono negli annali come successi prevedibili, fiaschi clamorosi o piccoli cult che crescono nel tempo. Poi c’è il Barbenheimer, un fenomeno che ha sfidato ogni logica e ci ha ricordato che la cultura pop è più viva, surreale e imprevedibile che mai. Ma cosa è esattamente e perché tutto il mondo ne ha parlato, ridendo e riflettendo allo stesso tempo?


La nascita attraverso il meme
Il Barbenheimer è nato quando qualcuno ha notato l’uscita simultanea di due film apparentemente agli antipodi: Barbie di Greta Gerwig, un’esplosione di colori pastello, e Oppenheimer di Christopher Nolan, un dramma storico sulla creazione della bomba atomica.
Da una parte, abbiamo la bambola più famosa del mondo, che affronta la crisi esistenziale di un mondo fatto di plastica; dall’altra, la figura storica di J. Robert Oppenheimer, l’«uomo che divenne morte» con il Progetto Manhattan. Uno sarebbe perfetto per un pigiama party, l’altro ti lascerebbe lo stesso effetto di una post-nut clarity.

Due mondi che non hanno niente in comune, tranne una data di uscita. Ed ecco che il caos ha avuto inizio. I meme hanno fatto il resto.

Instagram e YouTube hanno reso popolari addirittura veri e propri mash-up trailer, costruendo un’epica narrativa: il pubblico avrebbe dovuto scegliere tra due esperienze diametralmente opposte o, meglio ancora, fare il double feature. Prima tre ore di dramma e radiazioni, poi un’iniezione di rosa e glitter. Oppure viceversa, a seconda di quanto sei pronto a metabolizzare l’ansia esistenziale.

Il marketing involontario
In un certo senso, il Barbenheimer è stato uno degli esempi più clamorosi di marketing involontario della storia recente. Warner Bros. e Universal non si sono nemmeno parlati; eppure, il meme è diventato una strategia virale; la cosa più incredibile è che abbia funzionato.
Le persone non solo hanno discusso online di quale film vedere per primo, ma si sono anche organizzate per eventi di massa nei cinema. Gli spettatori arrivavano vestiti come Barbie o in abiti vintage per evocare l’era di Oppenheimer, creando un clima da carnevale. L’idea di contrapporre due film così diversi è diventata un messaggio culturale: non scegliere, abbraccia tutto.

Davvero così diversi?
All’apparenza, Barbie e Oppenheimer non condividono nulla. Ma scavando un po’, troviamo curiosamente degli elementi comuni: entrambi i film parlano di identità e responsabilità.
Barbie esplora il senso di scopo e le aspettative sociali, con la protagonista che si trova a confrontarsi con il mondo reale e le sue imperfezioni; Oppenheimer si immerge nelle responsabilità morali e nelle conseguenze delle proprie azioni, sollevando domande su cosa significhi essere il creatore di uno strumento di distruzione di massa. Entrambi i film, insomma, ci mettono di fronte al peso delle nostre scelte e lo fanno in modi diametralmente opposti – è proprio questo aspetto che affascina e permette di espandere esponenzialmente la target audience.

Il vero successo
Dal punto di vista commerciale, il Barbenheimer è stato un trionfo al Box Office, ma il successo non si misura solo in soldi: entrambi i film hanno riacceso il dibattito sul potere del cinema di trascendere il mero intrattenimento. Nelle settimane successive alla loro uscita, non si parlava d’altro. Gli articoli accademici hanno cominciato a spuntare ovunque, analizzando ogni sfumatura del fenomeno, dai meme all’impatto culturale. È andato oltre il cinema: è diventato un momento sociale, un’esperienza condivisa in cui milioni di persone hanno partecipato, ognuna a modo suo.
Questo evento ha dimostrato come il cinema possa ancora essere un punto di aggregazione culturale in un’era dominata dallo streaming e dalla frammentazione delle audience. Non importa se sei un fan di Nolan, un amante della cultura pop o semplicemente qualcuno che vuole prender parte al divertimento: il Barbenheimer è per tutti.

Ma può davvero essere la nuova frontiera del cinema contemporaneo?
È vero, il Barbenheimer ha dimostrato che il pubblico è più complesso e sfaccettato di quanto Hollywood spesso creda, ma potrà davvero essere replicato?
Il fatto è che la sua riuscita è stata dovuta principalmente alla forte spinta del pubblico: il fenomeno è nato proprio dal web, dalle persone comuni, in modo spontaneo. Il problema è che ha dimostrato di essere una strategia di marketing incedibile e sicuramente le produzioni vorranno replicarlo in una maniera più “artificiale”, imponendolo dall’alto.

Un esempio è stato il fenomeno Glicked: il nome si riferisce alla scelta simultanea dei film Wicked, un adattamento musicale intriso di magia e dramma, e Gladiator II, il seguito di un colossal storico che ha segnato una generazione. Anche qui, i social media hanno avuto un ruolo chiave, creando aspettative e battute su come due film così diversi potessero coesistere nello stesso weekend di uscita.
Ma se Barbie e Oppenheimer rappresentavano opposti estremi di tono e tema, Wicked e Gladiator II offrono una sfida più sottile: magia contro realismo, musical contro epica storica (temi centrali in questo momento cinematografico che sarò lieta di trattare nei prossimi numeri della rivista). Nonostante tutto, entrambi incarnano un’idea di spettacolarità che vuole catturare l’immaginazione del pubblico e, come per il Barbenheimer, l’idea è di non scegliere, ma di celebrare la varietà del cinema in tutta la sua follia. Nonostante le ottime premesse, però, il risultato non si è nemmeno avvicinato a quello del fenomeno precedente ed è andato a scemare ancora prima di iniziare, avendo come risultato una serie di interviste particolarmente cringe e montate ad arte. Come ho detto, l’autenticità non è facile da replicare.
Magari un giorno ci sarà qualcosa che arriverà al suo livello, ma fino ad allora, il Barbenheimer resterà il gold standard, un promemoria del potere del cinema e dell’inesauribile creatività della cultura pop.

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Autore

  • Padovan Miriam nasce e decide di fare l’artista. Dopo un’infarinatura decisamente disomogenea, pensa di voler diventare una qualsiasi regista indie femminista ma il suo anno da fotografa per matrimoni le fa cambiare subito idea. Inizia a bingewatchare video di Barbero e scopre la sua vera passione: dare aria alla bocca. Approda al DAMS e, dopo essersi guadagnata la fama grazie al suo spaccio di appunti (secchiona e pure sottona), finisce per diventare redattrice di questa rivista.
    Il suo sogno sarebbe continuare a fare quello che fa adesso, ma da pagata: stare seduta sul proprio culo lamentandosi di come gli altri potrebbero fare meglio. Ha una terribile ironia ed i gusti artistici di una sedicenne: un’intellettuale wannabe che ha ancora troppo da imparare per avere un’opinione ma che, tra una cazzata e l’altra, a volte, ha ragione.


     

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