N5 2025

SIGNORE E SIGNORI, BUONANOTTE

Di Miriam Padovan  

Signore e signori, buonanotte è un film collettivo, corale, provocatorio e profondamente satirico, che si impone come uno dei più lucidi atti di accusa del cinema italiano contro il degrado morale, politico e sociale del Paese. Realizzato nel 1976 da un gruppo straordinario di registi e sceneggiatori – tra cui Ettore Scola, Luigi Comencini, Nanni Loy, Mario Monicelli, Luigi Magni, Ugo Pirro, Furio Scarpelli e altri – il film si presenta come una successione di sketch senza un filo narrativo lineare, ma coerentemente unificati da una satira feroce e spietata che prende di mira il potere in tutte le sue forme: politico, economico, religioso e mediatico. 

La struttura del film è quella del mosaico: una sequenza di episodi apparentemente autonomi, ma legati fra  loro dal filo rosso del telegiornale TG3, condotto dall’anchorman Paolo T. Fiume, interpretato da un magistrale Marcello Mastroianni. È lui che, con sguardo disilluso e sarcasmo tagliente, introduce e accompagna lo spettatore in un’Italia deformata ma riconoscibilissima, grottesca ma paradossalmente  realistica, in cui la verità viene distorta, la giustizia è una farsa e il cittadino è ridotto a spettatore passivo, ormai narcotizzato dalla televisione.

La satira si alterna tra comicità greve e sgangherata, parentesi grottesche e improvvisi scarti nella tragedia. È proprio in questa alternanza che si coglie la forza del film: l’instabilità, l’incertezza, il caos morale che rappresenta l’Italia dell’epoca – e, drammaticamente, anche quella odierna. 

Ogni episodio è una parabola amara, spesso comica nei toni ma tragica nei contenuti. Si va dall’occupazione di una scuola romana da parte di “estremisti di sinistra” che si rivelano poi essere semplici bambini, al rapimento di un potente imprenditore (una caricatura del vero Gianni Agnelli) che, in un surreale appello  televisivo, chiede ai suoi stessi operai di pagare il riscatto per la sua liberazione. Tra le sequenze più memorabili, vi è quella dell’intervista a un ministro corrotto, che, nonostante gli scandali e le prove evidenti delle sue colpe, si rifiuta di dimettersi, anzi, si mostra orgogliosamente impunito e protetto dalla sua  posizione di potere.

Il film brilla anche per l’eccezionale cast di attori, tra cui Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Paolo Villaggio, Adolfo Celi e altri, tutti coinvolti in ruoli perfettamente cuciti addosso ai loro personaggi pubblici e cinematografici. Non mancano infatti auto-citazioni e riferimenti ad altri film o personaggi da loro interpretati in passato: un gioco meta-cinematografico che arricchisce ulteriormente la visione.

Emblematico è l’incontro in rima tra l’ispettore Tuttunpezzo (interpretato da Gassman) e Vladimiro Palese (Adolfo Celi),  che richiama le atmosfere di Brancaleone alle crociate (Mario Monicelli, 1970). Il finale è forse l’atto più spietato e dolente dell’intera pellicola: un raduno di vecchie cariatidi della politica e del potere, che si autocelebrano, si glorificano, si sostengono a vicenda in un clima di ipocrisia e immobilismo. “Aria di cose  vecchie perché qui non cambia mai niente” è la frase che chiude il film e ne racchiude il senso profondo.

Il potere in Italia è eterno, immobile, ancorato a logiche patriarcali e clientelari, retto da figure incapaci di  rinnovarsi, pronte a restare aggrappate alle proprie poltrone “con le unghie, i pannoloni e le dentiere”, anche oltre la morte simbolica o biologica. 

Quello che sorprende – e spaventa – è l’attualità bruciante di Signore e signori, buonanotte. Un film girato nel 1976 che sembra scritto oggi, tanto le dinamiche denunciate sono rimaste identiche. I temi del degrado istituzionale, della complicità fra politica e media, dell’impotenza della giustizia, della sottomissione delle masse alla televisione, sono ancora oggi al centro del dibattito pubblico. Non è tanto un film profetico quanto una prova dolorosa del fatto che nulla è cambiato in quasi mezzo secolo. 

Signore e signori, buonanotte è, in definitiva, un’opera collettiva che riesce ad essere più della somma delle sue parti. Un film che va guardato e riguardato per la sua intelligenza corrosiva, per la sua libertà espressiva, per la sua capacità di parlare, oggi come ieri, a uno spettatore che ha ancora voglia di riflettere, indignarsi, ridere amaramente. Un film che appartiene al patrimonio culturale del nostro Paese e che testimonia un’epoca in cui il cinema italiano sapeva essere duro, cattivo, maestoso. E soprattutto libero.

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