27-99: GIORNALISMO E INCHIESTE
LA SIGNORA DEL VENERDÌ
di Gianluca Meotti
Dopo aver perso la talentuosa Hildy (Rosalind Russell) sia come reporter che come moglie, il direttore di giornale Walter Burns (Cary Grant) cerca di riconquistare la donna affidandole un ultimo compito: intervistare il condannato a morte fuggito Earl Williams (John Qualen), sperando che ciò possa riattivare in lei la fiamma assopita dell’amore per il giornalismo. Per far ciò, mette in piedi una lunga serie di inganni per costringerla ad accettare e per trattenere il più lontano possibile da lei il suo futuro sposo Bruce (Ralph Bellamy).
Nel 1940 Howard Hawks non fu né il primo né l’ultimo a portare sul grande schermo questo soggetto. La storia originale di Ben Hecht (proveniente anch’egli dal mondo giornalistico) e Charles MacArthur era stata già trasposta nel 1931 da Lewis Milestone, per poi essere riproposta nel 1974 da Billy Wilder, in entrambi i casi rimanendo fedeli al materiale di partenza originale, sia per quanto riguarda il titolo (The Front Page; solo il titolo del film di Wilder viene tradotto in Italia con Prima pagina) che per il cast. Infatti, il testo di Hecht e MacArthur prevedeva la presenza di due protagonisti maschili che, dopo anni di lavoro come cronisti, vedevano il loro rapporto lavorativo giungere al termine quando uno dei due (Hildebrand, che nella versione di Hawks diventa Hildy) decideva di rinunciare alla vita frenetica fra macchine da scrivere e scoop dell’ultimo secondo per sposarsi e trasferirsi a New York. L’idea alla base del cambiamento di sceneggiatura era di Hawks, che trovò un Hecht entusiasta all’idea di rimettere mano alla sua storia; così il regista di Scarface (1932), con una semplice intuizione, aveva ampliato radicalmente le opportunità della storia di partenza, facendole confluire su di un terreno a lui più congeniale che mai, quello della screwball comedy, che, dopo Susanna! (Bringing Up Baby, 1938) ritrovava nuovamente Cary Grant in un ruolo diametralmente opposto rispetto al timido zoologo del film con Katharine Hepburn.
È proprio al personaggio di Grant che vengono affidate le chiavi della narrazione. Il suo Walter Burns è un direttore di giornale senza troppi scrupoli, impossibilitato, per indole o deformazione professionale, a tacere e che farebbe – e fa – carte false per conseguire il suo obbiettivo di riportare Hildy al giornale. La felice chiusura romantica non toglie dalla mente il fatto che riacquisire una moglie potrebbe essere solo il pegno da pagare per riavere alla redazione una corrispondente dalle abilità eccelse. Le azioni malefiche di Burns sono dissimulate dalla fluidità dei movimenti e dalla capacità di recitare utilizzando le inclinazioni vocali da parte di uno splendido Cary Grant, il quale riesce a rendere accattivante un personaggio negativo, epitome di un certo tipo di giornalismo da battaglia capace di plasmare la realtà o di prosciugare la linfa vitale di una storia banale per trasformarla in fiumi di inchiostro.
Per costruire l’immagine di fascinoso affabulatore, Grant, così come Russell, si rivolge all’elemento che più colpisce di tutto il film: il dialogo. Ne La signora del venerdì (His Girl Friday), tutto è parola, ogni azione e ogni sentimento vengono detti ed esplicitati in un ritmo, oggi, da miniserie di quattro puntate. L’impostazione teatrale frutto del lavoro di Hecht e MacArthur impone tempi serratissimi e poche location, obblighi che Hawks adatta allo schermo con una quantità di dialoghi spasmodica, pur rispettando la regola aurea del cinema classico: due attori non devono mai parlarsi sopra, tutto deve essere chiaro per il pubblico. Questi obblighi formali permettono al regista di mantenere sempre altissima la concentrazione, portando la riuscita comica a livelli di certezza scientifica, ma sempre con un latente senso di stonatura per quanto riguarda ciò che si cela dietro le parole dei personaggi.
La satira più o meno diretta al mondo del giornalismo viene completamente palesata dalla seconda metà in poi, anche se basterebbe solo il personaggio di Grant per renderla ovvia; nel terzo atto, Hawks lascia trasparire in controluce problemi molto più seri e complessi. Il condannato a morte fuggito ha perso qualunque idea di senno e, pur di evitare la sua pena, sarebbe disposto a compiere gesti estremi; prendendo in ostaggio varie persone, egli finisce poi nascosto all’interno di una scrivania richiudibile nella stessa stanza in cui Burns e Hildy si ritrovano a discutere e a lanciarsi frecciatine maliziose. Mentre in primo piano vediamo i due ex amanti flirtare, sullo sfondo, nascosto, c’è un uomo disperato al quale rimane poco da vivere; le due forze di cui si nutre questa sequenza sono opposte e Hawks gioca sulla risata macabra e sul senso di colpa nel riso.
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