N5 2025

TECNICA

IL CORPO SECONDO CRONENBERG

Paragoni e riflessioni tra Crimes of the Future e Videodrome

Di Sibilla Bissoni

David Cronenberg non è un regista acclamato e popolare nel senso più stretto del termine. Il cineasta canadese, dall’inizio della sua lunga carriera ad ora, ha fatto sempre discutere, distinguendosi per la sua radicalità nel raccontare l’umano, sempre attraverso un’ossessione poetica verso il corpo. Prima di continuare nella disamina della poetica cronenberghiana attraverso due film per me emblematici del grande autore, scelgo di riportare alcune parole del regista stesso:

“Per me all’inizio c’è il corpo. È ciò che siamo, ciò che abbiamo. Siamo tutti come degli attori che si agitano sulla scena della vita, e la prima cosa che abbiamo sono i nostri corpi fisici, la nostra esistenza fisica. Nei miei film il corpo è sempre al centro. Non me ne allontano mai. E se ciò accade, più me ne allontano, meno mi sento sicuro di me.”

Credo che con queste frasi si possano comprendere meglio i concetti che io non avrei spiegato in non meno di due noiose pagine di articolo. Sono dell’idea che, alle volte, è meglio lasciare parlare gli artisti stessi del modo in cui intendono il loro lavoro. 
Detto questo, Cronenberg, nella sua lunga esperienza dietro la macchina da presa, ci ha lasciato (e ci lascerà) innumerevoli splendidi quanto divisivi capolavori. 
Il cineasta di classe 1943, nonostante la sua veneranda età, continua a sfornare film che fanno della loro cifra stilistica marcata e inconfondibile oramai un marchio risaputo. 

Metto subito sotto alla lente d’ingrandimento Crimes of the Future (2022), un film molto recente che racconta di un mondo (ovviamente) distopico in cui il corpo umano ha subito mutazioni che gli hanno fatto perdere la percezione del dolore, oltre che fargli produrre organi nuovi. Cronenberg, oltre che esserne il regista, firma anche sceneggiatura e soggetto dell’opera. Come protagonista abbiamo un insolito Viggo Mortensen ad interpretare Saul Tenser, un uomo che produce in maniera prolifica nuovi organi all’interno di sé (paragonabili a grandi tumori inutili) che vengono rimossi dalla sua assistente Caprice (Léa Seydoux).

I due sono dei veri performer ed il loro spettacolo dal vivo consiste nella rimozione degli inutili organi che il corpo di lui produce, rimossi da Caprice su di un avveniristico tavolo operatorio, il tutto senza anestesia (non esiste più una soglia massima del dolore). 
Cronenberg ricorre al suo amato body-horror per raccontare però qualcos’altro. Gli effetti speciali sui corpi e sulle scenografie sono come suo solito artigianali, ma confezionati perfettamente, e le interpretazioni (non solo dei due protagonisti) enigmatiche ed inquietanti. L’orrore delle mutilazioni, dei corpi martoriati e violentati, dei buchi, tagli e cicatrici sono tali solo per chi guarda la pellicola e non per i personaggi del film, in quanto per tutti loro ciò che a noi pare assurdo e orrendo è perfettamente normale. Per i personaggi non è solo normale, ma erotico. La chirurgia nell’universo di Crimes of the Future è divenuta un surrogato del rapporto sessuale, che ormai non vale più nulla. Come il sesso, anche un’altra cosa purtroppo fondamentale nel mondo d’oggi è inversamente intesa nel film: sto parlando della cattiveria. Nel film, chi mutila un uomo non è inteso come “cattivo”, e il resto è tutto in discesa (o in salita?). Il “qualcos’altro” di cui parlavo prima, che Cronenberg vuole trasmetterci con questa bellissima opera, non è forse uno scambio di ruoli in concetti importantissimi per l’uomo? Uno scambio che pare distopico, ma forse non lo è poi così tanto… 

Ritorna prepotente la violenza nuda e cruda (in tutti i sensi) esibita in uno show godibile da tutti, come si racconta anche in Videodrome. Il regista canadese ci fa viaggiare in un mondo estremo in cui la chirurgia estetica si è evoluta in deturpazione, bisogno primario ed erotismo reale. 

Cronenberg, con un film che manca completamente di una classica linea narrativa (inizio, svolgimento e finale), non ci racconta una storia, ma ci mostra un pezzetto di un mondo che a noi può sembrare ormai allo sbando, orrendo nel vero senso del termine. Un mondo che è un tributo al body-horror e a ciò che il genere può raggiungere visivamente e narrativamente, forse l’apoteosi matura del pensiero di Cronenberg su schermo. 

Passando dunque ad un paragone difficile, sebbene necessario, sposto ora l’attenzione sul gigantesco Videodrome. Il film, uscito nelle sale nel 1983, racconta di Max Renn, proprietario di una rete tv dalla dubbia programmazione.

L’emittente ha un’audience che sa che guardandola troverà sesso e violenza, talvolta mostrati sullo schermo in maniera estrema (i personaggi del film si porranno il quesito su quanto ci sia di recitato nella violenza dei programmi). Ponendosi come spartiacque tra la fase del regista anni Settanta più feroce e casereccia e il futuro Cronenberg che si scoprirà anche filosofo dello splatter e dei rapporti malati dei corpi umani con la tecnologia, Videodrome è catalogato spesso come puro capolavoro, una primaria eppure eloquente versione del rapporto malato del corpo con l’artificiale che il regista esplorerà anche nel 2022 con Crimes of the Future.

Videodrome è un film spietato, che non può lasciare indifferenti, e che lascia senz’altro meno confusi di Crimes of the Future, complice anche l’epoca in cui uscì e la maturità registica ancora in divenire dell’autore.

La bocca che, in una scena divenuta poi iconica del film, risucchia nel suo televisore il protagonista rappresenta già la metafora socio-filosofica che caratterizzerà il regista per tutta la sua carriera a venire, ossia il rapporto dell’uomo con il sé più inconscio ed interiore, il suo Io più malato e irrazionale, quello capace di vendere il suo corpo alla più cruenta violenza o, ancora, alla più dispotica chirurgia.

Così, Cronenberg risucchia in tutti i sensi chi guarda i suoi film in una spirale oscura, e quindi innegabilmente affascinante, in cui ci si deve interrogare su di noi, sui nostri meccanismi folli e, soprattutto, sul nostro corpo, abitacolo delle cupe perversioni, schema di ossessioni compulsive, ed essenzialmente ciò che siamo, ciò che abbiamo.

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