N5 2025

MUTO

FROM MORN TO MIDNIGHT

Di Gianluca Meotti  

In piena Repubblica di Weimar, Karlheinz Martin porta sullo schermo il testo teatrale di Georg Kaiser risalente  a prima della Grande Guerra. Il risultato è un film testamento dell’espressionismo tedesco, che iperboleggia i tratti stilistici del movimento negli stessi anni in cui questo produceva i suoi maggiori capolavori (pochi mesi prima si era venuti a conoscenza delle follie del Dr. Caligari).

È la storia di un impiegato (Ernst Deutsch) che ruba tutte le banconote che può dalle casse della banca in cui  lavora per scappare con una giovane straniera (Erna Morena). Ma la donna lo rifiuta, facendogli acquisire la  consapevolezza che la sua vita ordinaria lavoro-famiglia gli sta troppo stretta; con il malloppo trafugato, viaggia e cambia identità, inizia a frequentare luoghi prima a lui preclusi in cerca di una “passione” alla quale devolvere la sua vita. La speranza è che questa illuminazione gli arrivi dalla fortuna sottratta, ma la realtà si rivela opposta ai sogni e tutto ciò che possiede finirà per possederlo.

L’esasperazione in termini stilistici dei codici dell’espressionismo è lente d’ingrandimento fondamentale attraverso la quale osservare l’opera di Martin. Egli trasla dal mondo teatrale la disposizione scenica della scenografia per affrontare la dissoluzione mentale di un uomo a causa di sé stesso e della sua avidità. Il tema,  tipico in questo genere di film, della follia come male nato dalle condizioni sociali è anche qui centrale. In un paese in cui ancora le ferite della guerra sono ben lontane dall’essere risanate, il protagonista sviluppa una curiosa interpretazione del desiderio di sopravvivenza, il quale diventa una spinta a lasciarsi indietro tutta quella distruzione e quella povertà, la famiglia, il lavoro impiegatizio per accedere ad una dimensione di benessere percepito come superiore, indifferente delle ripercussioni pratiche e morali che questo comporta.  

Il banchiere che fugge dalla sua situazione di grigia monotonia e che, per tutta la durata della pellicola, continua a muoversi e a non fermarsi in un luogo solo per più del tempo necessario, è soltanto uno dei volti della crisi che sta attraversando il paese, desideroso di lasciare alle spalle la tragedia nella maniera più veloce possibile.  Ma più continua a fuggire, più i fantasmi (e i teschi) lo trovano, non lasciandolo mai da solo ma affollandogli la coscienza e svuotandogli le tasche. 

L’apporto stilistico al tema è portato alle estreme conseguenze. Il trucco è sempre ben visibile e con un’inclinazione a dipingere la morte sui volti dei personaggi. Sono le scenografie però a costituire l’elemento caratterizzante per antonomasia dell’opera: gli elementi geometrici (ricorrente il triangolo, spigoloso e oscuro presagio) e le costruzioni con cui Martin compone le sue inquadrature restituiscono il latente senso di morte, e il loro totale antinaturalismo conferisce a From Morn to Midnight (Von morgens bis mitternachts, 1920) quell’alone di cinema fantastico che è chiave di molti altri capolavori espressionisti, pur narrando una storia  di denuncia sociale radicalmente connessa con la realtà. Porte e finestre sono sempre più storte, gli interni sembrano provenire da un libro di illustrazioni gotiche e le scene ambientate all’aperto danno la sensazione di  quel particolare caos che c’è nei sogni.
Opera estrema e complessa, ma incredibilmente facile da reperire, è un tassello chiave per affacciarsi ad uno dei movimenti cinematografici più forieri delle capacità della settima arte. 

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