N5 2025

THE LEGEND OF OCHI

Di Sara Pellacani 

Al suo esordio alla regia, Isaiah Saxon ci catapulta con The Legend Of Ochi in un universo dark fantasy alquanto strambo e nostalgico. Ambientato nella remota isola di Carpathia, il film racconta le avventure di Yuri (Helena Zengel), una giovane ragazza cresciuta come se fosse un maschio dallo scorbutico padre Maxim (Willem Dafoe) e addestrata a combattere ed evitare a tutti i costi le creature  Ochi che vivono nella foresta. Tutto però cambia quando la giovane Yuri incontra un cucciolo di Ochi rimasto ferito ed isolato dal resto del branco. La ragazza decide così di ribellarsi al padre, scappare di  casa ed intraprendere un viaggio per riportare il piccolo alla sua famiglia. Un viaggio grazie al quale la ragazza scoprirà che forse il vero nemico non sono gli Ochi e che le permetterà di riconnettersi con il proprio passato.  

Saxon propone un coming of age sotto forma di fiaba moderna, ricco di elementi fantastici ma che di certo non risulta una novità, soprattutto dal punto di vista narrativo. La ragazza, infatti, non solo sta riportando la creatura a casa, ma è anche alla ricerca di se stessa e della figura genitoriale della madre (Emily Watson) che, a causa delle idee arretrate del padre della protagonista, aveva abbandonato la famiglia.

La pellicola, quindi, non può non ricordarci E.T. l’extraterrestre (E.T. the Extra-Terrestrial, Steven Spielberg, 1982), in quanto Elliott (il protagonista del film di Spielberg) intraprende un viaggio molto simile a quello di Yuri, ed entrambi entrano in simbiosi con l’altra creatura. Inoltre, per certe scene come quella della caccia agli Ochi, il film di Saxon risulta essere molto simile alla scena iniziale di E.T., quando gli alieni scappano dagli umani e il povero E.T. rimane solo sulla terra. La nostalgia anni Ottanta colpisce ancora nel film grazie all’estetica: quest’ultima, infatti, dona un aspetto di atemporalità alla pellicola, che contemporaneamente ci risulta familiare e surreale. Da sottolineare è il grande lavoro che sta dietro alla parte tecnica e visiva di questo film, in quanto risulta essere una voce fuori dal coro in un’epoca fatta di CGI e AI. Il piccolo Ochi è un animatronic realizzato artigianalmente e controllato nei movimenti da vari tecnici, conferendo così un aspetto più  realistico ed espressivo alla creatura. Inoltre, nella pellicola è utilizzata la tecnica del matte painting, che ci trasporta sempre di più nell’universo creato da Isaiah Saxon. 

Altro elemento importante del film è il sonoro, a partire sia dalla voce delle creature Ochi realizzate mixando i cinguettii di uccelli per arrivare anche alla colonna sonora di David Longstreth. Il cast poi svolge un buon lavoro, a partire da Helena Zengel nel ruolo della giovane Yuri, taciturna e che ha ben poco in comune con i suoi coetanei membri dello strampalato esercito messo in piedi dal padre (esercito che ricorda i Goonies). Anche Dafoe, come al solito, riesce a convincere nel particolare ruolo del pazzo Maxim, che nasconde nella lotta contro gli Ochi una lotta con se stesso e che trova la sua  manforte nel personaggio di Petro, interpretato da Finn Wolfhard (Mike di Stranger Things).

Il film, oltre ai temi della crescita e del rapporto con i genitori, offre uno sguardo anche sul conflittuale rapporto uomo-natura. Infatti, vediamo come la popolazione dell’isola consideri questi esseri, in realtà innocui, come un nemico da distruggere e non come qualcuno con cui convivere. La pellicola cerca di portare sul grande schermo qualcosa di originale, non riuscendoci però fino in fondo, in quanto si tratta di una storia trita e ritrita ma resa piacevole ed innovativa grazie alle soluzioni tecniche e ad una estetica non scontata.

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