IO SONO MIGLIORE – JIMMI RODOLFI
Di Giovanni “Fusco” Pinotti
Puoi fare una piccola introduzione spiegando chi sei?
Mi chiamo Jimmi, ho 23 anni e vivo a Ravenna, anche se sono nato a Lugo. Conosco il cinema senza un motivo particolare, quasi spontaneamente, perché non sono mai stato un’amante del cinema. Lo trovo un mezzo per raccontarmi. Da bambino sono sempre stato un ragazzo estroverso e socievole. Poi la vita ti fa vivere e quindi cambi. Ho conosciuto l’introversione, però la necessità di raccontarmi c’è sempre stata. Quindi quando ero un bambino socievole ed estroverso il modo di raccontarmi era attraverso quello, cioè attraverso l’estensione del mio bisogno di raccontarmi. Ero spesso il giullare, spesso il pagliaccio. Poi la vita cambia, ma la necessità di raccontarmi è comunque rimasta e lì ho conosciuto il cinema, in particolare grazie a La strada di Fellini.
Guardando il tuo dossier mi ha colpito molto il fatto che tu ti occupi di regia, produzione, poi fotografia, montaggio, sonoro, etc. Quindi volevo chiederti se la scelta di ricoprire pressoché ogni ruolo di pre-produzione, produzione e post produzione sia dettata da motivi di risparmio o se sia anche una scelta poetica precisa.
È una dualità, perché il cinema costa. Io però ho bisogno di raccontarmi, appunto, quindi si ritorna sempre a quella necessità. La scelta di fare tutto da solo viene perché in primis, appunto, non ho i mezzi sia finanziari sia materiali per poter permettermi una troupe e organizzare una produzione. Quindi un motivo è esattamente quello che hai citato tu prima, per risparmio. Il secondo è anche per via di empatia, dovuto al non riuscire ancora a trovare persone che entrano dentro al racconto che voglio fare. Io non mi sento ancora pronto a parlare con un direttore della fotografia e dirgli, “Guarda, facciamo un primo piano”, perché ho la sensazione che andrei completamente a modificarlo. Il giorno in cui troverò una troupe o persone che entreranno tanto in empatia con me, allora sarò felice di staccarmi dai componenti di fotografia e montaggio per lavorare in team. Quindi la risposta è duplice. In realtà secondo me è importante iniziare provando a fare tutto da solo, specialmente se non hai mezzi, poiché sei costretto a ridimensionare le tue idee e a dire, “Io voglio realizzare questa idea, ma non posso farla così perché non ho i soldi e le persone.” Allora mi spremo il cervello e faccio di tutto per raccontare la stessa idea, ma nei mezzi e nelle possibilità che posso permettermi.
Tu descrivi il tuo corto come “drammatico-filosofico”, e da come lo hai descritto il tuo è un corto sì filosofico, però di conseguenza diventa anche politico. Credi che il cinema abbia ancora un ruolo nel risveglio delle coscienze e/o possa inserirsi come un tempo nel dibattito pubblico, oppure sia una cosa che non è più possibile?
Io trovo che il cinema sia il mezzo artistico che ha la possibilità più grande di cambiare la percezione e il mondo delle persone, anche da un punto di vista politico; prendere quindi in mano la propria vita, dire che questo mondo non mi piace, lo voglio cambiare. Il cinema riesce a far questo, e perché? Il cinema, a differenza delle altre arti – che comunque io amo – ha quella caratteristica di farti entrare dentro un tunnel, la sala. Dentro la sala tu sei in un altro mondo. Sei in un’altra realtà. Quando esci dalla sala ritorni nella realtà vera in cui viviamo, quindi il mondo, ma ritorni diverso, perché magari hai visto un film che ti ha cambiato e ha cambiato anche la tua percezione del mondo, e di conseguenza magari anche la voglia di cambiarlo. Quindi sì, assolutamente, il cinema ha una forte componente persuasiva per cambiare la percezione e anche il coraggio delle persone. L’ha fatto persino con me: il cinema mi ha aperto gli occhi verso un altro modo di vedere la vita. Io il cinema prima di tutto lo ringrazio, poi lo amo. Lo ringrazio per quello che mi ha fatto, ecco, anche se non sono un cinefilo. Non ho visto tantissimi film nella mia vita.
Capisco perfettamente. Quindi se non erro assumi attraverso il tuo cinema – o comunque i primi passi di quello che sarà e che è anche adesso il tuo cinema – un ruolo più attivo nei confronti della società? Ti poni cioè come soggetto potenzialmente rivoluzionario, nel senso di cambiamento non solo dell’arte e quindi del mezzo in sé, ma anche della società?
Mi piacerebbe, sì. Ho un rapporto strano con il mondo, a volte lo amo, a volte lo odio. Quindi, perché no? Non sono neanche dell’idea che quello che dico io sia legge. Sempre per ritornare al bisogno di raccontarsi, mi piacerebbe molto che le persone conoscano ciò che penso io e magari, perché no, empatizzino con me e inizino a vedere il mondo anche come lo vedo io, benché io lasci molta libertà.
Una cosa che mi ha colpito molto è che il tuo protagonista passa da osservatore a dominatore e poi a preda inerme della natura. Credi che questo sia un rapporto ciclico inevitabile e proprio della natura umana (ammesso che esista) o che si possa sfuggire a questa catena di eventi?
No, penso che sia esattamente la vita. Il protagonista prende la coscienza di essere umano. E dalla coscienza inizia ad avere un sentimento di supremazia verso la natura, iniziando a vederla come struttura, come mezzo per arricchirsi. Una cosa bellissima che apprezzo della natura è il silenzio. La natura è silenziosa fino a quando non agisce, e agisce in modo plateale, enorme, quasi come se si tenesse tutto dentro per poi buttare tutto fuori. In quel momento noi ritorniamo figli della natura, ci spaventiamo. Guardiamo ad esempio le alluvioni: quando ci sono le alluvioni noi siamo spaventati, non sappiamo come muoverci, ci viene detto di stare in casa, e quindi ritorniamo completamente inermi e senza forze. Lì la supremazia non c’è più. Fino magari a due giorni prima la natura era solo un mezzo, quindi in realtà sì, è un processo ciclico, perché dopo tutti i disastri – che per me più che disastri sono atti di ribellione – che la natura ha fatto, noi riconosciamo di nuovo la coscienza di essere superiori e ripetiamo ancora le stesse cose.
Mi sembra che tu abbia una visione quasi personalistica della natura, nel senso che le dai degli attributi molto chiari e molto forti. Ne hai quindi anche una visione molto spirituale, nel senso che è una forza presente anche all’interno dello spirito oltre alla sua persistenza nel mondo materiale, oppure ti concentri principalmente sulle sue manifestazioni fisiche?
In realtà io parto anche da un punto di vista spirituale, perché credo che siamo fortemente legati alla natura poiché parte di questa realtà. Questo corto non narra di come vivo io, ma è una riflessione sulla natura. È sicuramente dunque una visione spirituale, però ha anche dei componenti molto razionali. Quando giro, tendenzialmente non ho tutto chiaro. Molto spesso, il film serve per rispondermi alle domande che mi faccio, anche se a volte non mi risponde. Tornando alla tua domanda, c’è sia un lato spirituale, nel senso che noi siamo fortemente legati alla natura anche per una questione di sensazioni, però dall’altro lato sono più razionale. È quasi come se fossimo due cose distinte e separate, ma in realtà unite.
Mi interessava molto anche la scelta del 4:3, perché è una scelta che artisticamente mi piace – quasi sempre – molto. Quindi vorrei che spiegassi la tua scelta, per chiederti poi se avessi anche dei modelli che ti hanno ispirato nella scelta del formato.
Il 4:3 mi serviva per schiacciare l’immagine. Lo trovo molto più intimo, quindi lo sento più mio. Io inizialmente non ho girato con l’intento di fare il 4:3. È arrivato dopo e mi sono detto, “Cavolo, però in 4:3 l’immagine mi arriva di più!” Le inquadrature mi entravano di più dentro. Quando ero in montaggio ho fatto entrambe le versioni, una in 16:9 e l’altra in 4:3. Più riguardavo quella in 4:3, più mi arrivava dentro. Credo che questa sia una fase, non credo che ogni progetto che farò sarà in 4:3, però in questo momento sento più mio questo formato. È sicuramente molto più intimo e personale. Il mio modello? Per me è Fellini, il primo Fellini, anche se non so veramente come facesse a fare i suoi film. Ti citavo La strada perché è il mio film preferito, forse in assoluto. Io punto a fare film come La strada, ecco.
Beh, è un’aspirazione mica da poco. In bocca al lupo per quello. Ti faccio la classica domanda che ormai bisogna fare a qualsiasi cineasta italiano o aspirante tale: come vedi lo stato del cinema in Italia?
Sicuramente da un punto di vista di idee non lo vedo come i primi anni del cinema italiano. Non so se sia un problema di autori o di produzioni. Spero di produzioni, perché in realtà penso che ci siano moltissimi autori italiani davvero forti, con delle grandissime idee e possibilità, anche per quanto riguarda il cinema horror. Purtroppo credo che il problema sia principalmente nelle case di produzione, nella gestione dei soldi pietosa. Però ho fiducia, perché credo nelle idee. Credo negli autori italiani, e ci credo anche e soprattutto grazie a voi e alle possibilità di far parlare anche gli autori indipendenti e non solo gli autori che vengono già da case affermate, cosa ad esempio che avviene nei festival di cortometraggi, i quali premiano principalmente registi e autori che lavorano già nel cinema. E allora come si fa a conoscere nuovi autori e magari dare anche quel senso di nuovo, di rivincita nel cinema? Non critico quindi il cinema italiano dal punto di vista delle idee, perché so che ce ne sono tante, ma da quello di tutta la gestione. Però ho molta fiducia.
Quali sono i tuoi progetti per il tuo futuro cinematografico?
Adesso sono in produzione per un altro corto, in realtà un po’ più lungo di questo, quasi un mediometraggio. Anche qui faccio tutto io per quanto riguarda produzione, scrittura, regia, fotografia. Farò sicuramente anche il montaggio. Vorrei provare a investire un po’ di più per quello che riguarda l’audio e il sonoro. Tutto il lato di preproduzione e produzione lo curo io. In futuro sono molto indeciso se prendere la strada di Roma e iniziare, come fanno i più, a fare qualche set, magari come aiuto regista, oppure se restare dove sono e continuare con i miei progetti, sperando magari di vincere qualche festival per poi usare tutti i soldi per finanziare altri progetti, in modo da costruire anche quella troupe famosa di cui parlavo all’inizio.
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