SEGAIOLO – LORENZO MAZZA
Di Miriam Padovan
Perché fai cinema?
“Questa è una bella domanda. Diciamo che sì, mi piaceva il cinema, però comunque non è che fossi un cinefilo, era più una cosa che approfondivo per farmi una cultura generale. Però comunque fin da bambino ho sempre fatto montaggi video, ad esempio a scuola ero sempre io che facevo i video per le gite e altre cose di questo tipo durante i lavori di gruppo, ma ho anche sempre fatto cose di questo tipo anche per amici. Verso i vent’anni ho fatto un corso di comunicazione, mi sono specializzato più nel videomaking e lì mi sono reso conto che effettivamente a me piace fare questo e avrei dovuto approfondire. Da lì quindi mi sono iscritto all’Accademia di cinema Rosencrantz & Guildenstern di Bologna. Ho sempre avuto tendenze artistiche in generale, anche nella scrittura, e quindi la cosa che mi piace del cinema è che è un po’ un contenitore in cui puoi mettere qualsiasi cosa a seconda di quello che la tua ispirazione richiede in quel momento.”
E quindi questo mi porta alla prossima domanda: dove pensi o dove speri di poter arrivare?
“Diciamo che io me la vivo molto al momento in realtà, cerco di fare i miei progetti mettendo principalmente la mia ispirazione e divertendomi in quello che faccio. Tu mi chiederai, “Ti piacerebbe poi arrivare ad alti livelli?” Certo, però so che è una strada tortuosa, quindi io sono molto focalizzato a fare del mio meglio adesso; poi, onestamente, non sono uno che guarda troppo al futuro in questo senso. Penso che l’importante sia mettere amore in ciò che si fa, poi non so se sarà quello che mi darà da mangiare, però intanto me la godo così. Il bello della creatività, secondo me, è che se hai bisogno di esprimerti non è che devi fare per forza una cosa strettamente artistica. Io ho fatto il cameriere per tanto tempo e, per quanto sia una cosa ovviamente più limitata, anche lì c’è modo di creare “un’invenzione nuova”, magari per fare una cosa in modo più agevole. Quindi comunque la creatività in qualche modo esce fuori, secondo me.”
Adesso ci spostiamo un po’ più sul corto. Hai scritto ad esempio che la masturbazione è solo un espediente comico e grottesco, ma ciò che mi sembra volessi fare tu fosse una critica al mondo contemporaneo, perché hai inserito tanti elementi tipici del nostro tempo; quindi, mi chiedevo se fosse un elemento simbolico di questa critica, anche inserito inconsciamente.
“Diciamo che io per tematica intendo proprio una cosa che venga effettivamente approfondita, con un’intenzione di un sottotesto un pochino più sviluppato. In quel caso la masturbazione è un elemento che, anche se non l’hai visto, puoi intuire sarà molto presente, però comunque non è come la tematica principale che invece può essere un pochino più sviscerabile a livello concettuale. La tematica principale è il fatto che ci sia comunque un ragazzo che vive un momento di debolezza e che non riceve dalle persone che ha intorno un giusto approccio, se non sul finale. Il mio cortometraggio ha comunque l’intenzione di essere principalmente una storia assurda e grottesca e, secondo me, andare a venderlo con l’idea di tematiche che non vengono effettivamente trattate sarebbe risultato poco coerente con quello che ho fatto e con quello che sono io in particolare. Inizialmente l’elemento della masturbazione non doveva esserci: il corto era nato con l’idea di questo ragazzo che si ritrova costretto per il susseguirsi degli eventi a confrontarsi col mondo esterno da cui si era recluso. Mi piaceva il fatto che l’elemento che poi l’avrebbe portato in galera sul finale sarebbe stato riconducibile alla sua situazione iniziale, come a voler dire che se togli una persona dal suo contesto a forza, poi si ripercuote contro di lui. Inizialmente avevo fatto diverse ipotesi prima di passare per la masturbazione; ad esempio, avevo pensato magari al vizio del fumo che lo porta a dare fuoco a qualcosa, ma non mi convinceva, e alla fine le cose che può fare una persona reclusa nella propria camera non sono più di tante. L’idea della masturbazione mi piaceva perché era una cosa meno vista in generale e quindi poteva essere anche un espediente comico, era coerente col resto del mood del cortometraggio e quindi alla fine sono andato per quella via.”
Mi ha incuriosito soprattutto il fatto che tu abbia scelto degli elementi che sono molto ricorrenti al momento, ma anche altri elementi che vanno completamente contro qualsiasi tendenza che c’è nel cinema. Hai deciso di parlare del maschile quando negli ultimi anni si tende a dare la voce alle donne, soprattutto dall’aspetto della sessualità; da notare anche il fatto che tu abbia voluto usare il grottesco, uno stile che adesso si sta riprendendo ma che fino a pochissimo tempo fa era messo da parte per l’approccio realista, e comunque questa è una storia che si applica moltissimo al realismo. Poi però mi dici anche che hai usato una struttura circolare e, da quello che mi stavi spiegando, hai usato anche degli stilemi molto tipici del cinema di adesso. Questo equilibrio tra gli stilemi classici e la trasgressione è sicuramente una ricetta vincente. È stata una scelta intenzionale?
“Non direi che sia stato intenzionale. Io ho fatto il mio progetto nel modo più genuino possibile rispetto a ciò che mi venisse da fare, non sono stato troppo a vedere la tendenza di adesso. Come dici giustamente tu, io sono uomo, non mi metto a raccontare una cosa dal punto di vista femminile perché comunque faccio parte di un retaggio culturale maschile, e per quanto riguarda il mio spirito creativo devo far sì che esca una cosa più spontanea possibile. In realtà ora sto lavorando a un progetto che, in un certo senso, cerca di dare voce alle donne ma lo fa, più che altro, come conseguenza di una presa in giro degli uomini.”
Quali sono i modelli che ti hanno ispirato?
“Non direi di avere un modello preciso, ma ti posso dire che mi piacciono più quei registi che hanno un mood un pochino più grottesco, anche comico: essendo agli inizi ho cercato registi che fossero più vicini al mio stile per poter capire come si fanno meglio le cose. Ad esempio, sono molto fan dello stile fumettistico di Sam Raimi, con film come La casa 2 oppure L’armata delle tenebre, per quanto ovviamente sia più horror.
Ho guardato diversi film dei fratelli Coen perché loro fanno spesso e volentieri cose un po’ più spiazzanti. Poi quando avevo appena finito la sceneggiatura l’avevo fatta leggere ad un mio amico che mi consigliò come ispirazione Beau ha paura che era appena uscito, e infatti quando lo vidi al cinema mi ero un attimo spaventato perché aveva molte cose in comune. Finché sei in fase di sceneggiatura puoi fantasticare come vuoi, poi però ovviamente devi mettere qualcuno davanti alla camera; quindi, in certi casi bisogna ridisegnare la sceneggiatura a seconda di quello che hai in mano, non puoi andare tutto di fantasia nel cinema.”
È il tuo primo progetto da regista e quindi è la prima volta che ti approcci a dover dare delle indicazioni a degli attori. Volevo chiederti, siccome ci sono delle tematiche molto tabù e immagino che comunque anche sul set ci siano state scene forti, come hai approcciato questo aspetto con gli attori?
“Inizialmente era la cosa che mi preoccupava di più, però adesso, col senno di poi, direi che è stata la parte più divertente. Più che altro, al di là della direzione degli attori e delle attrici in sé, era un problema inizialmente presentare il progetto: ad esempio, quando facevo i casting per Andrea, scrivevo sempre un disclaimer. Alla fine, non ho avuto troppi problemi a riguardo, anche se c’era chi era più insicuro e magari mi chiedeva più dettagli sul progetto. Faccio una menzione d’onore a Giulio, che alla fine è stato scelto: in realtà è stato proprio il primo che io ho contattato, e lui già da subito mi disse, “No, guarda, sono gasatissimo dall’idea!” Quindi comunque con lui mi ci sono trovato subito bene perché non c’era alcun tipo di imbarazzo. È proprio un ragazzo che, oltre a essere un grande professionista, si butta totalmente, quindi è stato molto divertente lavorare con lui. In realtà, più che il protagonista, fu difficile contattare l’attrice che avrebbe dovuto interpretare la titolare perché c’è una scena di molestia. È una tematica estremamente delicata, quindi anche lì ho dovuto fare tre volte i disclaimer che ho fatto per il protagonista: ho dovuto sempre mandare la scena, spiegare comunque il mood del progetto, però anche lì alla fine le attrici si sono prestate. Comunque, erano tutti professionisti, quindi alla fine hanno sposato il progetto e sono estremamente contento di questo. Ho iniziato con loro perché comunque devi creare un equilibrio e una corretta alchimia tra gli attori, ma anche poi, chiaramente, con la troupe. Diciamo che da regista mi devo smezzare sia per quanto riguarda il cast sia per quanto riguarda la troupe.”
L’ultima domanda l’avevi un po’ anticipata prima, però ti chiedo di approfondire: hai altri progetti in programma?
“Al momento sto facendo un po’ attività di distribuzione da indipendente per Festival e progetti vari. È un po’ problematico perché non ho un’agenzia di distribuzione e perché, spesso e volentieri, i Festival del cinema, specie in Italia, non cercano progetti di questo tipo. Spesso vogliono cose un po’ più intellettuali e quindi devo fare comunque un’attività di ricerca e selezione, trovare quelli a cui un progetto del genere potrebbe interessare. Questo è il terzo Festival: uno era un Festival a Salerno, a cui ho preso parte solo per il contest on-line, e un altro Festival a New York, una serata underground. Questo invece è il primo Festival che faccio “vero e proprio”, quindi sono molto curioso di come andrà.
Ho in ballo una sceneggiatura a cui sto lavorando e mi sto confrontando con altri ragazzi della mia troupe, perché comunque ci diamo suggerimenti, e per cui avvierò presto la preproduzione. È un progetto sempre grottesco e surreale, ma in modo diverso da questo. Ci saranno anche lì diverse insidie a livello di scelta attoriale, ci saranno delle cose un po’ particolari da fare. Poi ho in mente di fare delle cose più indipendenti, tipo io con la mia videocamera senza troupe, giusto per allenamento. Ho delle idee che ogni tanto partono così, più che un progetto vero e proprio. A volte sono le migliori.”
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