N4 2025

UN FILM MINECRAFT

Di Riccardo Morrone

Era un evento del tutto ineluttabile, un’occorrenza dalla quale non si poteva sfuggire: Minecraft, il videogioco più celebre e redditizio di questo millennio, che diventa un film dal successo garantito. Ma il risultato di questa operazione commercialmente ineccepibile, Un film Minecraft (A Minecraft Movie, Jared Hess, 2025), è un prodotto (poco) cinematografico in cui la performance vocale di Mara Maionchi (nell’edizione italiana doppiatrice della villain) non sfigura e, anzi, ben s’intona al registro narrativo e al contesto generale dell’opera.

Henry (Sebastian Hansen) è il classico teenager orfano, schivo e geniale, immediatamente marginalizzato dalla realtà di provincia nella quale si è appena trasferito assieme alla sorella Natalie (Emma Myers). La loro vita cambia quando, in compagnia del pittoresco Garrett ‘The Garbage Man’ Garrison (Jason Momoa) e dell’agente immobiliare Dawn (Danielle Brooks), finiscono per caso nell’Overworld, la dimensione cubica in cui è da tempo intrappolato l’esperto minatore Steve (Jack Black), prigioniero della cattivissima piglin Malgosha (Rachel House). 

Che cosa non è Un film Minecraft? Di certo, NON è un adattamento del videogioco. Infatti, un adattamento, per sua natura, presupporrebbe un lavoro quanto più efficace possibile di trasposizione degli elementi  costitutivi di un’opera nel passaggio da un medium ad un altro. Qui, invece, è palese che non ci sia alcuna  intenzione di conservare – o di trasporre per l’appunto – i caratteri di specificità della geniale creazione di Markus Persson. Operata questa sbrigativa pars destruens, il quesito da porsi ora è: che cosa è allora questo film? Uno spot decisamente troppo lungo e squilibrato, un patchwork gonfio di reference scollate e canzoni pop e orgoglioso della sua estetica camp tra colori saturati, fotografia smarmellata e scenografie cartonate. Sotto questo aspetto, non si distacca molto da Barbie (Greta Gerwig, 2023), un altro prodotto Warner Bros., da considerarsi il capofila di un cinema-vetrina completamente asservito alla cultura dell’hype. Si parla di una produzione da 150 milioni di dollari in cui la complessità stilistica e narrativa latita, senza avvicinarsi nemmeno  a quella di tanti lavori che si trovano facilmente in giro per YouTube (il monumentale Minecraft ITA, per citarne uno). Ci resta un ultimo interrogativo: è questa una via decisamente deprecabile di fare cinema o anche solo advertising? Forse sì, ma ciò che è certo è che i tempi di The LEGO Movie (Phil Lord e Christopher Miller, 2014) – un’operazione da manuale sotto tutti i punti di vista – sembrano davvero lontanissimi. 

In ogni caso, tutto questo dovrebbe indurci ad una seria riflessione circa lo statuto del blockbuster contemporaneo, un prodotto dall’identità incerta nel quale l’ingente impianto produttivo (ciò che Hollywood per cento anni di storia ha esibito e ostentato con fierezza) sembrerebbe ormai diventato un valore da celare. E, nel caso di Un film Minecraft, risulta difficile anche solo abbozzare una disamina che entri nello specifico della pellicola perché è la stessa a negarsi ogni tipo di aspirazione o proposito costruttivo, fagocitando lo spettatore in un brodo demenziale che lambisce i confini dell’autoparodia. Dal grottesco ruolo di Momoa (Er Monnezza, ma non quello di Lenzi) fino al ragazzino con presunte «Frodo vibez»: pure i protagonisti sono abbandonati alle loro gracilissime caratterizzazioni e, nella migliore delle ipotesi, ci si affida al manierismo di attori consumati come Jack Black e Jennifer Coolidge, nella parte della solita donna di mezza età dagli appetiti insaziabili, stavolta impegnata in un improbabile flirt con un villager finito casualmente nel mondo reale. 

È evidente che l’universo cubico di Minecraft avrebbe meritato ben altra dignità al cinema, così come la meriterebbe lo schermo cinematografico stesso, sempre più appiattito verso i dogmi della fruizione verticale.

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