N4 2025

THE ALTO KNIGHTS – I DUE VOLTI DEL CRIMINE

Di Riccardo Morrone

Due De Niro, una corposa antologia della criminalità italoamericana e vitalità sottozero: tutto questo e poco  altro all’interno di The Alto Knights – I due volti del crimine, ventiquattresima regia di Barry Levinson al ritorno in sala dopo dieci anni. Con un incipit in puro stile Casinò (Martin Scorsese, 1995), The Alto Knights si incarica di ricostruire, con maniacale precisione ma scarso brio, una quarantina d’anni di Storia criminale della East Coast, ripercorrendo il travagliato rapporto tra i boss ‘don Vitone’ Genovese e Frank Costello.

The Alto Knights è un reparto geriatrico, in tutto e per tutto. In primis, per il dato anagrafico dei pezzi da novanta alle spalle di questo progetto: non solo la doppia presenza del leggendario Robert De Niro – in procinto di ricevere la Palma d’oro alla carriera al settantottesimo Festival di Cannes – ma anche il titanico produttore novantaquattrenne Irvin Winkler, lo sceneggiatore di Quei bravi ragazzi (Goodfellas, Martin Scorsese, 1990) e Casinò Nicholas Pileggi e il direttore della fotografia Dante Spinotti (storico collaboratore di Michael Mann); tutti professionisti di spicco ultraottantenni con mezzo secolo di carriera alle spalle. Ma la vera senescenza del  film, ben diversa dal carattere ordinato e riflessivo degli ultimi lavori di Scorsese, si registra soprattutto a livello strutturale: ci troviamo dinnanzi, infatti, ad un corpo ingessato e decrepito fin dalle premesse; un’opera stanca, prolissa, priva di carattere e, in particolar modo nel terzo atto, fuori tempo e senza ritmo anche a causa di un puntiglioso quanto ingombrante impianto storico-didascalico. 

Anche l’espediente di affidare entrambi i ruoli di Frank Costello e Vito Genovese a De Niro non funziona e anzi il loro (o meglio il suo) alternarsi quasi ossessivo in scena sfiora il limite del caricaturale – similmente ai due Pattinson di Mickey 17 (Bong Joon-ho, 2025). Feroce e impulsivo Genovese, più mite e “castrato” dalla moglie Costello, la loro caratterizzazione si ferma a queste poche e semplici note senza scavare molto oltre. Quello tra i due mafiosi pretenderebbe di essere uno scontro di stili e di ideali – «i due volti del crimine», recita il sottotitolo italiano del film – ma si risolve in una esasperante dinamica tra il noioso e il ridicolo: basterebbe a illustrare tutti i limiti formali della pellicola la lunga e goffa sequenza in cui Costello, chiamato a testimoniare, sceglie di rispondere anziché appellarsi al quinto emendamento mentre Genovese e i suoi uomini lo guardano in televisione inveendo contro di lui. Più in generale, pare evidente come la pellicola manchi di un’identità propria e finisca, appena ne ha l’occasione, ad attingere al vastissimo repertorio di icone gangster del grande e piccolo schermo, tra “omaggi” a Scorsese e volti riciclati – non solo De Niro, anche Michael Rispoli e Kathrine Narducci da I Soprano (The Sopranos, David Chase, 1999-2007) e Cosmo Jarvis da Peaky Blinders (Steven Knight, 2013-2022). E il risultato è qualcosa che, nel complesso, non reggerebbe il confronto nemmeno con il piano sequenza d’apertura di The Irishman (Martin Scorsese, 2019).

Insomma, se è chiaro che vorrebbe raccontare il canto del cigno della prima Mafia italoamericana, The Alto Knights finisce più per sembrare il funerale – stavolta inconsapevole – del mafia movie hollywoodiano. Suona ironico ma in qualche modo significativo che a finanziare il progetto sia stata la Warner Bros., da sempre la casa dei wise guys per eccellenza (un’eredità consapevole testimoniata dalla presenza a schermo di James Cagney). Non si discute che le intenzioni fossero delle migliori. Ma gli esiti sono davvero deludenti.

Pagine: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39

Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *