SOTTO LE FOGLIE
Di Gianluca Meotti
Dopo l’incursione iper-citazionistica di Peter von Kant (2022) e quelle da legal-comedy di Mon Crime – La colpevole sono io (Mon Crime, 2023), uscite in Italia a distanza di pochi mesi, François Ozon torna su terreni a lui molto più cari, i rapporti genitori-figli. L’occhio scelto questa volta, però, non è quello dolente ma tenero di una figlia che riceve la richiesta dal padre di mettere fine alla sua vita, come in È andato tutto bene (Tout s’est bien passé, 2021), ma appartiene al filone di quella produzione del regista francese che va ad indagare le recriminazioni nate all’interno dell’ambiente familiare, distruggendo la concezione comune dei rapporti di sangue. E lo fa variegando ulteriormente la palette di generi trattati nella sua carriera, inserendo in una storia da melodramma puramente fassbinderiano le inclinazioni dei thriller bucolici e provinciali di Chabrol con le ossessioni per i simbolismi (vedi i funghi) e la questione dell’innocenza, mutato da Hitchcock. Simile per temi e ambientazioni al recente L’uomo nel bosco (Miséricorde, 2024) di Alain Guiraudie, Sotto le foglie (Quand vient l’automne, 2024) è un nuovo capitolo nella ricchissima collezione di storie di uno dei più importanti registi francesi contemporanei.

Michelle (Hélène Vincent) è una prostituta in pensione che ha da tempo lasciato Parigi, preferendovi la campagna della Borgogna. Dedita alla vita a contatto con la natura, passa le sue giornate a raccogliere funghi in compagnia della sua amica ed ex-collega Marie-Claude (Josiane Balasko) o a godersi la placidità della campagna. L’unica nota stonata nella vita di Michelle sembrerebbe essere la figlia Valérie (Ludivine Sagnier), la quale non ha mai perdonato alla madre il lavoro che ha fatto per mantenerle e l’assenza totale di una figura paterna. Quando Valérie e suo figlio Lucas (Garlan Erlos) vanno a trovare Michelle, quest’ultima decide di preparare per tutti una quiche con i funghi che aveva raccolto la mattina stessa. Ma il fattaccio ha luogo quando Valérie, l’unica che ha mangiato la quiche, rimane intossicata dai funghi e proibisce alla madre di vedere il piccolo nipote a cui è tanto affezionata. Per cercare di risolvere la situazione interviene il figlio di Marie-Claude, Vincent (Pierre Lottin, miglior attore al Festival di San Sebastián dove il film ha vinto anche miglior sceneggiatura), appena uscito di prigione e in ottimi rapporti con Michelle. Giunto a Parigi per convincere la figlia a ricucire i rapporti con la madre, finisce inavvertitamente per ucciderla; avvenimento che complicherà ulteriormente la vita di Michelle, prima di migliorarla.

I legami familiari nascono e finiscono nel sangue. E forse ci vivono pure. La rimodulazione delle classiche dinamiche fra figli e genitori messa in piedi da Ozon è un coacervo di sentimenti sottaciuti, rimasti a graffiare la superficie delle loro vite per anni. Valérie disprezza platealmente sua madre (come afferma nel confronto con Vincent), l’onta di vergogna del suo passato lavorativo ha marchiato a fuoco la sua crescita, impedendole di vivere una vita da lei percepita come normale e vedendo Michelle come colpevole di tutti gli aspetti negativi della sua vita infelice. Per quanto sia comune vedere storie di figli che odiano i genitori, è assai più raro incontrare storie in cui siano i genitori a volersi distaccare dai figli. Per un pregiudizio secondo il quale ai genitori è fatto obbligo non solo di amare i propri figli, ma di dedicargli la loro completa esistenza, è estremamente più raro osservare storie di questo tipo. E Ozon è molto cauto nel raccontare i sentimenti contraddittori delle madri nei confronti dei figli (anche il rapporto fra Marie-Claude e Vincent non è dei più semplici, ma comunque più convenzionale).
Michelle è incerta se abbia voluto avvelenare appositamente sua figlia con la quiche o se sia stato un errore, e il regista giocherà su questa ambiguità da complesso elettrico per tutto il film, costruendo la narrazione dal punto di vista dell’amorevole nonnina. Ma queste sue tendenze all’usurpazione della prole vengono fuori più veementemente quando le viene proibito di avere rapporti con il piccolo Lucas; uno smacco di tali dimensioni conduce la donna in uno stato di depressione clinica, dalla quale esce magicamente dopo la morte della figlia. Ed è proprio la non conformazione a ciò che ci si aspetta da parte del personaggio della nonna a rendere Sotto le foglie carico di interesse e di questioni sollevate. Strutturato ad ellissi, Ozon crea un film in cui tutto è fasullo ma tutto sembra reale, un fantoccio con delle sembianze umane quasi perfette, in cui il punto di vista è iper-soggettivo e quindi passibile di menzogne. Lo fa imbastendo la narrazione di espedienti che mantengano vivo l’interesse e che distraggano da quelle che sono le reali motivazioni che spingono i personaggi ad agire. Attraverso l’uso ripetuto di soluzioni narrative ad alto impatto emotivo come morti, incidenti, scene madri che portano il concetto di melodramma a nuovi significati e tanto altro, viene messo in piedi un racconto avvincente e plausibile, ma che sembra avere vita propria e voglia di ribellarsi alle intenzioni del suo autore, facendo trapelare dei dettagli fondamentali che questo aveva celato. La figura della protagonista resta più indigesta di quella letale quiche di funghi, ma senza che ci sia un motivo valido ad affrancare questa sensazione.
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