N4 2025

EDEN

Un Paradiso in Terra che si tramuterà presto in un incubo

Di Alessia Vannini

Ella non cura se alcun pianga o rida; 
Ella è sorda, è muta, è cieca: ella non sente 
I miseri lamenti, e anco se gli udia 
Ridea, come suol ridere la madre 
Che del figlio si fa beffe. 


– G. Leopardi, La Ginestra, o il fiore del deserto, vv. 169–173, scritto nel 1836 e pubblicato postumo nel 1845. 

Dopo la première italiana lo scorso 22 novembre al Torino Film Festival, esce nelle sale il nuovo film Eden (2024) e Ron Howard torna a dirigere un nuovo biopic che si aggiunge alla lunga lista di film basati su storie vere che troviamo nella sua filmografia – valgono la pena essere citati, fra i tanti, Apollo 13 (1995), A Beautiful Mind (2001), Cinderella Man – Una ragione per lottare (Cinderella Man, 2005), Frost/Nixon – Il duello (Frost/Nixon, 2008) e Rush (2013).

Eden è un thriller-survival ispirato a una storia vera avvenuta negli anni Trenta sull’isola di Floreana, nelle  Galapagos. Il film esplora le dinamiche umane in un contesto isolato, dove ideali utopici si scontrano con la dura realtà della sopravvivenza.

Il film si basa sui libri scritti da Dora Strauch e Margret Wittmer, sopravvissute agli eventi sull’isola, e su resoconti dell’epoca. Howard ha dichiarato di essere stato attratto dalla storia per la sua natura classicamente umanistica e tragica, paragonandola a una tragedia greca o a un romanzo russo. 

Ambientato durante la crisi economica del 1929, il film segue il medico e filosofo tedesco Friedrich Ritter (Jude Law) e la sua compagna Dora Strauch (Vanessa Kirby), che si trasferiscono sull’isola disabitata di  Floreana per vivere in armonia con la natura. Il loro sogno era quello di vivere secondo i dettami del pensiero nietzschiano, senza regole, senza convenzioni, in totale simbiosi con Madre Natura. 

Nella mente di Friedrich, il ritiro sull’isola non è una fuga, ma una missione profetica: vuole forgiare un’opera che sfidi il tempo e l’etica, un testo-mondo destinato a cambiare il corso dell’umanità, il verbo secondo Friedrich che ambisce a entrare nello stesso pantheon controverso di cui fanno parte – nel bene o nel male – libri come la Bibbia, Il Manifesto del Partito Comunista, o persino il Mein Kampf

Tuttavia, la quieta solitudine di Friedrich e Dora viene interrotta dall’arrivo della famiglia Wittmer (Daniel Brühl, Sydney Sweeney e il giovane Jonathan Tittel), più pragmatici, più silenziosi, ma portatori di una diversa idea di sopravvivenza. Successivamente, come un uragano, giunge la baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn (Ana de Armas), affascinante, enigmatica e seduttiva, accompagnata da due amanti e da un piano improbabile: costruire il primo hotel di lusso delle Galápagos. Da quel momento in poi Floreana si trasformerà in un teatro di conflitti e tragedie. 

Howard costruisce la narrazione come una spirale lenta e asfissiante. L’isola, inizialmente splendida e luminosa, si fa sempre più opprimente, umida, silenziosa. I personaggi, colti nel loro isolamento, iniziano a deragliare. Le ideologie si scontrano: il rigore quasi fanatico di Ritter, la passiva malinconia di Dora, la praticità borghese dei Wittmer, l’edonismo teatrale della baronessa. Ogni personaggio si fa simbolo di una visione del mondo, ma nessuno ne esce vincitore. Similmente a quanto accade in Triangle of Sadness (2022) di Ruben Östlund, tutti gli abitanti dell’isola entreranno in competizione per affermare il loro ruolo di dominatori. In una costante ed affascinante  dinamica cane-mangia-cane si va a costruire un crescendo di tensione. Gli abitanti dell’isola complottano l’uno contro l’altro, escogitano piani per rubare risorse al loro vicino, si avvelenano a vicenda e campano di menzogne. Come la tesa corda di un violino, l’atmosfera è così densa che sembra possa esplodere al minimo sussurro. Il climax, costruito con precisione implacabile, si erge come un punto di non ritorno e si consuma con furia, deflagrando in un inevitabile dénouement dove ogni illusione si dissolve.

Similmente alla serpe tentatrice biblica, la baronessa striscia tra le crepe dell’illusoria pace dell’Eden terreno, insinuandosi nelle vite dei Ritter e dei Wittmer e inducendoli ad assaggiare quel frutto proibito che porta con sé l’eco di una disfatta imminente. Il pubblico, come gli stessi abitanti dell’isola, è lasciato nell’incertezza: chi mente? Chi manipola? Chi sopravvive e a quale prezzo? 

Il cast è stellare e Jude Law è imponente nel ruolo di Friedrich Ritter, una figura che ondeggia tra l’eroe nietzschiano e il tiranno domestico. Vanessa Kirby, sempre più eccellente nel dar voce a donne tragiche dalle  vite spezzate, offre una Dora Strauch stratificata, dolente, inquieta, sospesa tra complicità e disincanto. Ana de Armas è letteralmente un fulmine a ciel sereno: magnetica, provocatoria e disturbante. La sua baronessa è tanto affascinante quanto terrificante e se mai ci dovesse essere un premio Oscar per il personaggio più odioso dovrebbe essere sicuramente conferito a lei.

Ron Howard, da parte sua, abbandona lo stile classico e sceglie una regia più nervosa, frammentata, spesso  contemplativa. Le inquadrature insistono sui corpi sudati, sulle ferite, sugli occhi pieni di sospetto. L’isola – fotografata con colori desaturati e verdastri ed un uso intelligente della luce naturale – diventa quasi un  personaggio a sé: un luogo che non accoglie, ma distrugge. 

La natura, fortemente romantica (nell’accezione che prende in arte e letteratura durante il Romanticismo), si rivela qui nella sua veste più feroce: perfida matrigna, essa accoglie l’uomo solo per poi abbandonarlo alla propria sorte, svelando la vacuità di ogni illusione edenica. La Natura è indifferente al destino umano, spietatamente ciclica e priva di compassione. 

Ciò che rende Eden un film affascinante non è solo la sua base storica – ricostruita attraverso i diari di Dora Strauch e Margret Wittmer – ma il modo in cui riflette su questioni universali. È possibile vivere al di fuori della società? L’essere umano può liberarsi delle sue maschere o ne costruirà solo di nuove, più fragili, più pericolose? 

La storia vera di Floreana è ancora oggi un mistero: sparizioni mai chiarite, testimonianze contraddittorie, un fitto intreccio di sospetti. Howard non cerca la verità dei fatti, ma quella più profonda ed emotiva: la verità sulla nostra incapacità di restare soli, e sul bisogno disperato di dominare l’altro, anche (e soprattutto) quando diciamo di volerci liberare da ogni totalitarismo. Eden è un film che esplora la complessità delle relazioni umane in condizioni estreme, mettendo in luce la sottile linea tra utopia e follia. Ron Howard si immerge in territori cupi e incerti, e ci consegna un racconto che parla di noi, dell’oggi, del nostro bisogno  costante di fuggire, di inventarci paradisi impossibili. Ci scaraventa in faccia una verità atroce, cioè che neppure l’Eden basta a salvarci da noi stessi. Il paradiso terreno non è che uno specchio, che ci riproietta la nostra immagine di uomini dannati alla solitudine, divorati dai nostri stessi demoni.

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