N4 2025

SENZA SANGUE

Di Miriam Padovan

Angelina Jolie torna dietro la macchina da presa e, purtroppo, anche davanti alla sceneggiatura. Senza sangue (Without Blood, 2024), adattamento del romanzo omonimo di Alessandro Baricco, è un film che vorrebbe essere allegoria universale sulla vendetta e sulle ferite della guerra, ma finisce per essere una lunga, pesante chiacchierata in un salotto immerso in un’eterna luce seppiata.

Ambientato in un tempo e luogo volutamente indefiniti – perché l’universalità passa ormai per l’anonimato – Senza sangue racconta la storia di Nina (Salma Hayek), unica sopravvissuta al massacro della propria famiglia per mano di un manipolo di vendicatori incattiviti. Anni dopo, la donna rintraccia uno dei carnefici, Tito (Demián Bichir), trasformato in venditore ambulante e uomo apparentemente redento. Ne nasce un  confronto verboso e immobile, lungo come un pomeriggio d’agosto senza ventilatore, in cui la vendetta si traveste da dialogo e la tensione da monologo.

Hayek e Bichir si affrontano come due statuine di cera nel museo dell’empatia fallita. Lei fissa l’orizzonte, lui arriccia la fronte: il dolore è servito. Peccato che, tra un flashback e l’altro (messi lì completamente a  caso), l’unico vero conflitto che lo spettatore sente sia tra la propria pazienza e la durata – per fortuna esigua  – del film. Ottanta minuti che sembrano centottanta, un miracolo del cinema dilatato.

Il problema non è tanto il tono metafisico, quanto il vuoto cosmico che si nasconde dietro a ogni inquadratura. Jolie tenta disperatamente di giocare a fare la neoclassica eastwoodiana, ma finisce più vicina a un cortometraggio fatto a quattordici anni per dirsi registi. L’astrazione simbolica che cerca non è altro che  indecisione registica: guerra sì, ma senza dire dove o quando; trauma sì, ma senza contesto; vendetta sì, ma sussurrata tra una tazza di tè e l’altra.

La struttura a flashback – che dovrebbe spezzare la monotonia – finisce col fare il contrario: rigurgita fedelmente pagine del romanzo senza alcun tentativo di rielaborazione  cinematografica. Lo spettatore, prigioniero di un montaggio indeciso e di una regia che pare girata in apnea,  è costretto a sorbirsi didascalie visive accompagnate da dialoghi più ridondanti di una puntata filler de Il segreto

E che dire della messinscena? Pittorica, certo. Pure troppo. Tutto è perfettamente composto, luci studiate al millimetro, scenografie bucoliche come sfondi preimpostati di Windows.

Ma l’effetto non è evocativo: è paralizzante. Non c’è polvere, non c’è sangue, non c’è fango. Solo velluto narrativo e atmosfere talmente ovattate che nemmeno un colpo di fucile riesce a svegliare l’attenzione. Il risultato è un continuo esercizio di  gravitas, che scivola più volte nel grottesco: sguardi congelati, espressioni doloranti, posture ieratiche. E poi, il sonoro: una colonna sonora onnipresente che non lascia mai respirare l’immagine. Nemmeno nei silenzi c’è pace. Un sottofondo musicale che accompagna tutto come se avessimo accidentalmente lasciato in riproduzione casuale la playlist “sad Einaudi” di Spotify. 

In definitiva, Senza sangue è un’opera che confonde profondità con lentezza, allegoria con ambiguità, introspezione con immobilismo.

Un film che vuole essere filosofico, ma che sembra più che altro una lunga pubblicità di profumi: intensa, patinata e assolutamente incomprensibile. Se Jolie avesse voluto riflettere sul dolore della guerra, avrebbe fatto bene a ricordare che la guerra è fatta anche di caos, imprevedibilità, carne e polvere. Invece ci offre un dramma stirato, scolastico, imbevuto di estetica e completamente disidratato di emozione. Senza sangue, sì, ma anche senza vita.

Pagine: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39

Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *