A DIFFERENT MAN
Di Alessia Vannini
Dopo lunga attesa, A Different Man (2024), l’ultimo atteso lavoro di Aaron Schimberg, è finalmente approdato anche nelle sale italiane. Nel cast spiccano i talentuosi Sebastian Stan, Adam Pearson e Renate Reinsve.

A Different Man non è semplicemente un thriller. È anzitutto un film che ci invita a riflettere su quanto siamo profondamente influenzati dalle opinioni e dai giudizi altrui. Attraverso la storia di Edward, il film ci mostra brutalmente quanto ci lasciamo influenzare dalle opinioni degli altri riguardo noi stessi, costruendo un muro di insicurezze che è difficile abbattere sul lungo periodo.
In questo film Aaron Schimberg – che torna a collaborare con Adam Pearson dopo Chained for Life (2019) – affronta il tema dell’identità e dell’appartenenza attraverso la storia di Edward, un aspirante attore newyorkese affetto da neurofibromatosi e magistralmente interpretato da Sebastian Stan. La sua malattia, che provoca la comparsa di deformazioni sul viso, lo rende un tipo timido e solitario, sempre in fuga dallo sguardo giudicante delle persone. Quando gli viene proposta una cura sperimentale che potrebbe finalmente farlo diventare “normale”, lui non esita neanche un secondo e si lancia in questo percorso. I medici provvedono anche a fare un calco del suo volto sotto forma di maschera facciale, per monitorare il miglioramento della terapia.

Proprio quando Edward cambia se stesso per essere finalmente accettato e amato, divenendo un uomo affascinante secondo i canoni di bellezza imposti dalla società, la sua scelta si rivela un incubo, perché la donna di cui era innamorato, la sua vicina di appartamento Ingrid (Reinsve), in realtà lo amava esattamente per quello che era. Come risvolto della medaglia, è Oswald (Pearson), il suo alter ego, ad ottenere tutto ciò che Edward aveva sempre desiderato, perché è dotato di qualcosa che Ed non ha: autostima.
Una volta “guarito” dalla neurofibromatosi, Edward non riesce più ad essere se stesso, le persone chiaramente non lo riconoscono e quindi lui decide di cambiare identità, in un risvolto di trama fortemente pirandelliano. Come Mattia Pascal diventa Adriano Meis, Edward cambia il suo nome in Guy. Quella dell’agente immobiliare Guy però è una parte che gli va stretta, che non lo convince affatto.

La sua vecchia vita continua a perseguitarlo, e quando scopre che Ingrid ha scritto una pièce teatrale su di lui, viene assediato dal morboso desiderio di prendere parte all’opera Off-Broadway; d’altronde interpreta una parte nella sua stessa vita, quindi interpretare un ruolo in uno spettacolo non dev’essere tanto più difficile. Dopo aver riflettuto sulla scelta più moralmente corretta da prendere, Ingrid comprende che Oswald, affetto anch’egli da neurofibromatosi, è la scelta migliore per la parte di Edward.
Dicono che “l’arte imita la vita”, e in effetti qualcun altro gli ruba il ruolo di Edward nello spettacolo basato su di lui. Oswald, oltre a soffiargli la parte, sta vivendo la vita ideale di Edward, instaurando persino una relazione con la donna dei suoi sogni.
La maschera che si è costruito non risulta più tanto affascinante come all’inizio, ed ora desidera aggrapparsi a quel briciolo del vecchio sé che gli è rimasto: il calco del suo vecchio volto, un’altra maschera che indossa nella speranza di essere accolto di nuovo da Ingrid ed essere scelto per la parte nella pièce.

Ingrid, come Bella nella celebre fiaba, riesce a vedere oltre l’aspetto fisico di Edward, amandolo per ciò che è realmente, dimostrando che l’autenticità del sentimento prescinde dalle apparenze e che la vera connessione nasce dallo spirito, non dalla superficie. Tuttavia, la rosa di Edward si è appassita del tutto, perché lui non è stato in grado di amare se stesso esattamente per quello che era. È volato troppo vicino al Sole ed è precipitato, annegando nel suo mare di bugie e insicurezze. Insomma, in preda ad una crisi d’identità amletiana che lo spinge ad atti estremi, Edward si ritrova a fare i conti con le conseguenze della sua scelta, che non sono più così allettanti come sembravano in principio.
A Different Man si converte presto in un’opera fortemente metateatrale, in cui i dirompenti quesiti sull’identità si fanno centrali. Come in Sei personaggi in cerca d’autore (Luigi Pirandello, 1921), il vero Edward sa che l’attore che interpreta il suo ruolo non è accurato, non lo potrà mai rispecchiare nella sua vera essenza. Ma, in fin dei conti, il vecchio Edward ormai è morto e, anche se in quella bara non c’è mai stato veramente il suo corpo, ritornare alla sua vita originaria è impossibile, perché ha deciso di non rivelare niente a nessuno ed ora è troppo tardi per farlo, nessuno gli crederebbe.

In definitiva, A Different Man mostra diversi approcci alla vita, mostrandoci come il nostro atteggiamento influenzi enormemente la nostra vita. Ciò non significa necessariamente che essere timidi sia sbagliato ed essere estroversi sia la scelta migliore. Schimberg, piuttosto, vuole farci capire che dobbiamo prendere una posizione nella nostra vita, facendo ciò che amiamo invece di quello che gli altri vorrebbero che facessimo, costruendo la vita che abbiamo sognato e non seguendo il percorso che qualcun altro ha immaginato per noi.
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